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Giorgia Meloni candidata premier? Forse no: centrodestra, l'ultima clamorosa idea

Antonio Socci
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Era scontato. Ora è Giorgia Meloni ad essere scaraventata nel tritacarne da quell'establishment ideologico-politico che pretende di avere il monopolio delle idee ammesse: la gogna mediatica serve a puntellare il Palazzo e a far restare al potere sempre i soliti. Per anni è stato "bombardato" Silvio Berlusconi perché Forza Italia era il partito di maggioranza e lui il federatore e leader del centrodestra. Poi è stata la volta di Matteo Salvini, quando il consenso della sua Lega ha toccato il 34 percento (alle europee del 2019). Oggi che Fratelli d'Italia rischia di essere, stando ai sondaggi, il primo partito, sopra al 20 per cento, l'attacco si concentra sulla leader della Destra.

 

L'obiettivo è sempre lo stesso: impedire al Centrodestra di vincere le elezioni politiche. In genere è sempre lo stesso anche il rito della caccia alle streghe. Il primo passo è la "sacra indignazione", lo stracciarsi le vesti che serve ad espellere un politico dai confini del dibattito civile e ad escludere le sue idee dal catalogo di quelle ammesse (da lorsignori) nel confronto pubblico. Tutto può fornire il pretesto per far scattare la macchina demolitrice. Anche il tono della voce. Nel caso della Meloni infatti il primo passo della demonizzazione è già stato compiuto nei giorni scorsi quando hanno trasformato in uno scandalo pubblico il suo comizio fatto in Spagna.

Approfittando del tono alto della voce della leader di FdI (d'altronde non si è mai visto un comizio sussurrato) si è voluto far passare la Meloni per «pazza», «indemoniata», «razzista» (ovviamente «fascista») e quindi i suoi contenuti come violenti e pieni di odio. La Stampa ha intervistato perfino la vicepremier spagnola Yolanda Dìaz che puntualmente ha bollato quello della Meloni come «un discorso pieno di odio e di intolleranza» che fa «paura». La Dìaz, c'informa la Stampa, «ha la tessera del Partito Comunista spagnolo» che - com' è noto - rimanda a una storia politica piena di amore e mitezza, a un'ideologia che ha diffuso nel mondo bontà e tolleranza...

IL DISCORSO
Ma cos'ha detto la Meloni di così scandaloso? In realtà ha avuto buon gioco un vecchio democristiano come Raffaele Fitto (oggi copresidente Ecr-FdI al Parlamento europeo) a mostrare che la leader di FdI ha detto le cose che spiega da anni, che sono tipiche dei partiti moderati e che peraltro sono condivise da buona parte della società italiana. Il suo «sì alla famiglia naturale», argomenta Fitto, fa riferimento alla nostra Costituzione (articolo 29). Il suo «no alle lobby Lgbt» e «all'ideologia di genere» non è un attacco alle persone omosessuali, ma a un gruppo ideologico (di cui fanno parte anche eterosessuali) «che segue un'agenda politica volta a destrutturare quell'idea di famiglia» (lo stesso papa Francesco nel luglio 2013 aveva detto: «La lobby gay non va bene, perché non vanno bene le lobby. Circa i gay, io non giudico, se è una persona di buona volontà, chi sono io per giudicare?»). Anche quando la Meloni ha detto «sì alla cultura della vita, no all'abisso della morte» ha ripetuto concetti che sono insegnati dal papa attuale e dai suoi predecessori.

Enrico Letta ha detto di pensare «tutto il male possibile, non c'è nulla che condivido» dell'intervento della Meloni, così la leader di FdI ha chiesto se per caso lui (che in teoria era cattolico) oggi dice «no alla cultura della vita» e «sì all'abisso della morte». Questo vale anche per un'altra frase della Meloni sull'universalità della Croce (cioè dell'amore) e sul «no alla violenza islamista».

Quando poi ha detto «sì a confini sicuri, no all'immigrazione di massa» ha espresso un principio che è ovvio in qualsiasi stato, su cui può concordare anche chi chiede più accoglienza e apertura agli immigrati. Del resto in Europa tutti i governi, a cominciare da quelli di sinistra (salvo il Pd in Italia), sono ferrei nel controllare gli ingressi ai confini.

 

Mala Meloni è stata contestata pure per aver detto «sì al lavoro della nostra gente» (che di fatto è l'articolo 1 della Costituzione) ed è stata contestata per aver detto «No alla grande finanza internazionale», che, spiega Fitto, è «una critica alle ingerenze di Goldman Sachs nella politica italiana». La vicepremier spagnola ha curiosamente visto in queste parole un attacco «ai lavoratori e alle donne»: ha letto a rovescio. L'esatto contrario.

IDEE NON AMMESSE
Anche l'ultimo messaggio della Meloni («sì alla sovranità dei popoli, no ai burocrati di Bruxelles»), dice Fitto, sta «nell'articolo 1 della nostra Costituzione, ma è difficile da accettare per chi governa da anni senza vincere le elezioni». Infine ha detto «sì alla nostra civiltà» e no alla cancel culture.
Naturalmente su qualche punto (o su tutto) si possono avere idee diverse dalla Meloni, ma Letta e compagni non possono pretendere di decidere quali sono le idee ammesse e cosa può (o non può) dire chi si oppone a loro. La Meloni si è comprensibilmente spaventata per la pesantezza delle reazioni al suo discorso e merita tutta la solidarietà (non solo dagli altri leader del centrodestra), anche perché contro donne di sinistra certi attacchi non si sentono (del resto, in barba alle quote rosa, donne leader a sinistra non ci sono). Ma questo episodio è solo un assaggio di quello che accadrà da oggi alle elezioni. Crescerà sempre più, sulla stampa nazionale e internazionale, il bau bau contro "la donna nera" a Palazzo Chigi e contro il presunto ritorno del fascismo. Questo avvelenerà il clima e creerà enormi difficoltà al centrodestra. È presumibile che la Meloni non voglia affrontare una campagna elettorale come una corrida che ha la sua persona come bersaglio. Lei sa che, quando si scatenano certe campagna di odio, la politica e le idee spariscono e resta solo il Nemico da battere.

Da persona intelligente sicuramente pensa che la pur giusta ambizione politica personale non deve compromettere il risultato di una coalizione che è maggioritaria nel Paese. Oltretutto lei è ancora molto giovane, ha tempo e forse può ritenere opportuno fare un'esperienza di governo forte prima di puntare alla leadership dell'esecutivo. Potrebbe essere lei stessa dunque a proporre di cancellare la vecchia idea secondo cui il candidato premier del centrodestra è il leader del partito più votato. Oltretutto aveva un senso nel '96, nel 2001 o nel 2008, quando Berlusconi, che era il fondatore e il federatore della coalizione, guidava un partito che aveva quattro volte i voti degli alleati, ma non oggi che hanno tutti consensi a due cifre.

SOLIDA ESPERIENZA
Il Centrodestra potrebbe adottare una soluzione analoga a quella del centrosinistra nel 1996, quando fu lanciato Romano Prodi come premier con l'Ulivo. Sarebbe per il Centrodestra un candidato non di partito, ma di coalizione, che condivide i valori e il programma dell'alleanza ed essendo super partes potrebbe fare sintesi di tutte le sue diverse anime. Inoltre può essere un candidato con solida esperienza di governo ed esperienza internazionale che potrebbe affrontare le tempeste che si annunciano nel prossimo futuro con la competenza necessaria, senza prestarsi all'accusa di "avventurismo" che da Sinistra e dal partito mediatico arriverebbe se si trattasse di un leader senza requisiti di esperienza, preparazione e di rapporti internazionali. Si tratta solo di superare qualche incomprensione personale nella coalizione. Il Centrodestra è atteso a questa prova di maturità politica che, se superata, può portarlo al governo per cinque anni.

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