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Dario Franceschini, ministro flop: buco milionario ai Beni culturali

Luca Beatrice
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Alcune persone si autodefiniscono come elaboratori di idee sempre brillanti. E tutti zitti ad ascoltare e apprendere da questi maghi dell'innovazione, così creativi e visionari che ai comuni mortali non resta che sgranare gli occhi stupiti da cotanta intelligenza. Dario Franceschini, da diversi anni ministro della cultura nei governi di centrosinistra e frittimisti, è uno di questi e chilo conosce bene sa che contraddirlo è impensabile perché non ama affatto essere messo in discussione e se qualcuno ci prova poi se la vedrà con lui.


Bisogna ammettere che, almeno all'inizio, la sua dedizione per i beni culturali fu maggiore rispetto a quei predecessori messi lì dai partiti nella spartizione del potere. Franceschini la cultura la ama -si è cimentato infatti con la narrativa, autore di alcuni romanzi brevi pubblicati da editori importanti- perché quel ministero dà lustro, soprattutto in Italia, anche se elettoralmente conta come il due di picche. La scommessa (o l'accordo) era resto qua per un po' e appena posso mi candido a fare altro, segretario di partito, premier, capo dello stato. Invece è ancora al Mibact, che un brutto lavoro non è, e allora per giustificare la lunga permanenza deve inventarsi nuove strategie politiche e imprenditoriali che finora non hanno colto nel segno, anzi. Sono state letteralmente dei disastri.


Primo fu "Verybello.it", con premio speciale per il copy che se lo inventò, un portale studiato per far decollare il turismo finito malissimo anzi al ministro dà fastidio che qualcuno glielo ricordi. Durante il Covid, tutti a casa davanti alla tv a consumare serie, gli venne un'altra grande idea, venduta come la "Netflix della cultura", che sarebbe come dire "Scamacca è il Benzema della Bassa". Convinto che gli italiani fossero utenti fedeli di balletti e lirica, Franceschini lancia ITsART, la piattaforma a pagamento che nel 2021 ha perso circa 7,5 milioni di euro, quasi tutta la somma di 9,8 finanziata dal decreto rilancio.


I numeri che fanno impressione sono alla voce ricavi, 245mila euro, e non è uno scherzo, di cui 140mila alla voce abbonamenti in 8 mesi, gli utenti sarebbero stati 146mila e la spesa procapite di circa 95 centesimi. Già tre volte azzerati i vertici, pare che al ministero non facciano paura le perdite al primo anno, ma in questo caso non si capisce come invertire la rotta, con questo tipo di prodotto la cui offerta peraltro duplica in buona parte ciò che è disponibile su RaiPlay. A Franceschini l'avevano detto ma lui niente, la smania di lasciare ai posteri qualcosa di originale è stata più forte. L'insuccesso era scritto, un'idea balzana e senza senso, che sa di spreco, arroganza, incompetenza e mina, per l'ennesima volta, la fiducia verso le istituzioni in materia di cultura. Sappiamo come sarebbe finita in un'azienda privata e anche come vanno le cose nello statale e parastatale. Capite però perché lo tengono al Mibact: fa danni ma almeno sono contenuti perché la cultura in Italia per fortuna è spinta dai privati che per le strategie chiamano manager veri, che sognano e sanno far di conto.

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