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Matteo Salvini, Vittorio Feltri: il lungo calvario e la mossa che lo ha fregato

Matteo Salvini  

Vittorio Feltri
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Seguo Matteo Salvini da parecchi anni, ovvero da quando accadde il terremoto nella Lega e venne escluso dal vertice Umberto Bossi, il quale era impedito per mille motivi, anche di salute, ma io personalmente non conoscevo questo giovane che se ne andava in giro vestito da profugo appena approdato a Lampedusa, con orribili felpe verdi, ostentando un linguaggio talvolta da uomo con la clava sebbene molto efficace. 

Allorché fu issato a capo del Carroccio al posto di Roberto Maroni, io, non avendo di Salvini una impressione precisa, attesi prima di formarmi una mia personale opinione su cosa potessimo attenderci da costui. Insomma, mi mancavano gli elementi per giudicarlo ed ero quindi diffidente, o meglio, prudente. Ero anche convinto che la Lega Nord, essendo precipitata al 4%, quindi avendo più che dimezzato i consensi, difficilmente sarebbe risorta, riuscendo a recuperare voti.

Partecipai alla manifestazione "L'è ura de netà fò ol polér", dal bergamasco "è ora di pulire il pollaio", tenutasi a Bergamo nell'aprile del 2012, dove tra i militanti della Lega si respiravano sia rabbia, per come erano andate le cose, sia desiderio di rinnovamento. E quel rinnovamento ci fu: Salvini nel giro di poco tempo, ovvero un paio d'anni, ha risollevato le sorti del partito fondato da Bossi, recuperando ampio consenso, crescendo nei sondaggi, estendendo l'influenza della Lega al di fuori dei confini della Padania.

 

 

MERITI - Questi risultati sorprendenti sono indiscutibilmente merito di Matteo Salvini, il quale ha l'abilità di cavalcare temi molto popolari, di essere sintonizzato sulle esigenze reali della gente, di riuscire ad interpretare il pensiero e lo stato d'animo di una base, non più soltanto nordica, cioè lombarda, piemontese e veneta, realizzando un miracolo. Salvini ha fatto risorgere la Lega e questa operazione mi ha impressionato. E così ho preso ad osservarlo con molta attenzione, ad interessarmi a lui, a tenere in considerazione le sue affermazioni e proposte. Dirigevo Il Giornale e scrivevo spesso di lui, quando un giorno, mentre mi trovavo a bordo di un treno diretto dal Veneto a Milano, ricevetti una telefonata da un numero che non conoscevo.
Era Salvini, il quale mi chiedeva se mi andasse di essere il candidato della Lega e di Fratelli d'Italia al Quirinale.

Si trattava di una sorta di candidatura di bandiera, con alcuna chance di vincere, anche perché di trasferirmi al Colle non avevo nessuna voglia. Mi faceva piacere però essere rappresentante di Lega e FdI in Parlamento, dunque accettai. Giunto il giorno delle elezioni, a leggere i risultati in aula era ovviamente l'allora presidente della Camera, Laura Boldrini, la quale non appena doveva pronunciare il mio nome faceva una smorfia involontaria, cioè il viso le si contorceva in una espressione di disgusto. Va da sé che la cosa mi abbia non poco trastullato. Anzi, diciamo pure che fu un vero spasso seguire tutta la votazione, dall'inizio alla fine, e sbellicarmi dalle risate nel momento in cui Boldrini era costretta a leggere "Vittorio Feltri".

Naturalmente, e per fortuna, non fui eletto, noiosa è la vita da presidente della Repubblica.
Le elezioni del 4 marzo 2018 hanno certificato in maniera incontrovertibile l'ascesa della Lega, che conquistò il 17% delle preferenze. Il miracolo di Salvini era ormai sotto gli occhi di tutti, ma la vittoria non era un trionfo.
Non si poteva mica compattare una maggioranza con il 17%.
Si trattava adesso di formare il governo. Il Pd non era disponibile a fare alleanze strambe, Matteo Renzi, allora ancora segretario del Partito democratico, in conferenza stampa riconobbe che il suo partito era stato bocciato e che occorreva fare un passo indietro. Il M5s si era aggiudicato il 33% dei voti, che, sommati a quelli della Lega, consentivano di mettere insieme una maggioranza tale da sostenere l'esecutivo.

Certo, ma per allearsi con i pentastellati ci sarebbe voluto coraggio, anzi no, tanto fegato. Non avevo nessuna stima del Movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, come molti altri avevo intuito che i grillini erano una compagnia del filo di ferro, come si dice dalla mie parti, a Bergamo, ovvero un gruppo di sbandati i quali, arrivati in Parlamento, si erano montati la testa. Tuttavia il governo gialloverde si fece e durò poco più di un anno durante il quale Matteo Salvini, in qualità di ministro dell'Interno, si distinse così tanto da essere poi perseguitato e processato per il suo agire.
Ad ogni modo la maniera in cui il capo del Carroccio ricoprì il suo ruolo di vertice del Viminale fece accrescere di molto la mia stima nei suoi confronti. Accadde l'inimmaginabile: diminuzione drastica degli sbarchi illegali e dunque anche dei morti in mare. La sinistra sosteneva che fosse impossibile arrestare gli arrivi dei clandestini, Salvini è stato in grado di compiere quindi l'impossibile, ne prendiamo atto, anzi ne prendano atto i suoi detrattori.

 


 

LO STRAPPO CON CONTE - Ma nemica di Salvini fu la forte l'impulsività. Nel maggio del 2019 si tennero le consultazioni europee, un ulteriore successo per la Lega, che balzò al 34%. Intanto i rapporti con gli alleati di governo si facevano sempre più difficili, tesi, complicati.
L'animo di Matteo doveva essere come una pentola a pressione, che esplose nell'infuocata estate di quell'anno. Il leader della Lega avrà pensato, ma questa è una mia interpretazione senza prova, che, se si fosse tornati alle urne, il Carroccio avrebbe potuto ottenere una consistente maggioranza e governare senza i grillini che continuavano a fare ostruzionismo, quindi si è dimesso decretando la fine del Conte 1.

Tuttavia mai Salvini ha spiegato le ragioni della sua repentina uscita. Ha addotto come motivazione, comunque plausibile, l'uso dei pentastellati di bocciare ogni iniziativa leghista. Salvini non ha calcolato, e questo è stato un gravissimo errore dettato forse dalla ingenuità politica, che c'era comunque la disponibilità del Pd di sostituirsi alla Lega, sebbene i democratici seguitassero ad urlare la loro ostilità nei confronti dei cinquestelle. Poi, alla resa dei conti, sentendo il profumo di poltrone e avendo l'occasione di infliggere un duro colpo a Salvini, relegandolo in un angolo, lo hanno fatto, cioè hanno stretto un accordo con i nemici.

I GIALLOROSSI - Ed è così che Matteo è rimasto fuori dal governo, mentre il Pd vi è entrato. Poi, in questo scenario, ha fatto irruzione pure la pandemia e l'ipotesi di andare al voto, che era già improbabile, è stata del tutto scartata. Non essendo un esecutivo stabile e solido, dato che il collante che ha tenuto insieme democratici e grillini non è stato l'amore verso il Paese ma l'odio verso Salvini nonché la cupidigia, il governo giallosso è crollato come un castello di sabbia e per mano di colui che aveva favorito in tutti i modi questo sposalizio di convenienza, ovvero Matteo Renzi.

Profilatosi Draghi sulla scena politica, Salvini si è messo coni due partiti con i quali mai avrebbe voluto associarsi: con Pd e M5s. Il che ha lasciato perplesso me e come me milioni di persone, che apprezzano di Matteo la lucidità eppure non gli perdonano i clamorosi e inspiegabili colpi di testa.
Certi comportamenti di Salvini lasciano attonito l'elettorato. Si dice contrario ad alcuni provvedimenti del governo di cui la Lega è parte e poi la Lega li approva in Consiglio dei ministri da lì a qualche giorno o addirittura da lì a qualche ora.

Questa condotta ha comportato inevitabilmente uno sbiadimento della figura di Salvini e il calo di stima si evidenzia altresì nei sondaggi. La gente non comprende più dove intenda andare Matteo, che prima distrugge l'alleanza con i grillini, poi ci si rimette insieme, Pd incluso. Gli italiani gli rimproverano una assenza di coerenza.

STATO CONFUSIONALE - È come se il leader offuscato versasse in pieno stato confusionale. Fin dal primo momento, ancora prima della formazione del governo Draghi, ho manifestato la mia perplessità riguardo una possibile adesione della Lega ad una maggioranza per nulla amalgamata, mentre tutti incoraggiavano codesta scelta senza valutarne rischi e danni. Si sono dovuti ricredere in quanto la Lega non riesce a fare sentire il suo peso, è minoritaria rispetto ai giallorossi, è minoranza, e questo la fa apparire debole, non incisiva, poco affidabile, poco credibile tanto più allorché muta posizione. Quando attraverso i miei editoriali ho fatto notare a Salvini che ha perduto lucidità e l'ho invitato a recuperarla, egli si è risentito, come coloro che sanno di avere torto, di avere combinato un pasticcio. In preda alla rabbia mi ha mandato un messaggio sul cellulare: «Con te ho chiuso», o qualcosa del genere. Non ho risposto. Del resto, a me cosa vuoi che me ne freghi di aprire o di chiudere con Matteo Salvini? Non è mica il mio fidanzato. Ammetto che mi è dispiaciuto che non abbia accettato i rilievi che gli ho sottolineato, da allora i rapporti sono congelati. Il gelo è totale e non l'ho più visto né sentito. Quando va al mare e indossa il costume da bagno, o quando mangia pane e Nutella o si fotografa con succulenti piatti della tradizione nostrana con un sorriso un po' da ebete o sventola il Rosario, viene criticato aspramente da chi prima storceva il naso davanti ai felponi verde prato, che Matteo ha riposto da un bel po' nell'armadio, eppure questi giudizi feroci non li comprendo. L'unico rimprovero che gli muovo è che la sua politica negli ultimi anni non è stata coerente al suo pensiero. Da quando ha smesso, per sua esclusiva decisione, di fare il ministro dell'Interno ha sbandato e questo ha avuto ripercussioni sul partito. 

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