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Giovanni Toti, occhio al flop: se il "centro" già litiga prima di cominciare

Alessandro Giuli
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Le mappe della politica segnalano un forte traffico al centro, inteso come (non) luogo della moderazione o del trasformismo, ma a guardarlo da vicino sembra una già piazza di paese in cui volano stracci. Ieri, solo per cominciare, alla convention "Italia al centro" organizzata a Roma dal governatore ligure Giovanni Toti è andata in scena una rissa verbale tra Carlo Calenda e Clemente Mastella che stride non poco con le photo opportunity di rito nelle quali i campioni neocentristi (Toti e Calenda, con il sindaco di Genova Marco Bucci) si sono fatti ritrarre accanto alla ministra forzista-frondista Mariastella Gelmini.

 

LA SFERZATA
È successo che Calenda, col solito piglio gladiatorio, ha voluto sferzare l'afa convegnistica moderata: «L'Italia non ha bisogno del centro, di Mastella, Di Maio, madi amministratori capaci come Bucci e Toti. Ha bisogno di costruire un'area con persone che sanno far accadere le cose, che hanno capacità amministrativa e forte capacità innovativa.

È il contrario del centro con tutti dentro, serve una cosa netta, liberal-democratica, pragmatica e seria. Serve il polo del buon governo per citare Berlusconi». Sacrosanto, ma anche innocuo come l'innesco di un incendio estivo, tantoché il vegliardo diccì nonché sindaco di Benevento gli ha risposto da par suo: «Da Calenda c'è una violenza verbale. Ce l'ha con me per un irresistibile complesso di inferiorità perché prendeva raccomandazioni da me quando era dirigente del Cis di Nola. E questo lo fa incazzare... Pensa che vince da solo contro tutti... Io non dico "No" a nessuno. Occorre rispetto. La Dc era tolleranza, c'era rispetto e l'idea che qualcuno porta avanti di fare del razzismo, chi va bene e chi no, non porta da nessuna parte». Quando si dice iniziare con il piede giusto...

Uno che le idee ce l'ha chiare, in fatto di centro, è appunto quel Cavaliere citato da Calenda: lui che si percepisce da sempre come l'ombelico del mondo e in fondo ha importato in Italia il bipolarismo inclusivo, qualche diritto può avanzarlo. E lo ha fatto in un videomessaggio molto enfatizzato dal Giornale di famiglia, rivendicando l'ovvio e monitando contro ogni inutile e dispersiva contraffazione. In sintesi: il centro c'est moi, e cioè Forza Italia come "forza liberale, garantista, cristiana (sic) ed europeista"; ergo, con me dovrete fare i conti e sarebbe meglio "evitare di spezzettare l'offerta politica in tanti centrini".

I PRECEDENTI
I centrini in questione sono le forze politiche che vanno dai più o meno pulviscolari movimenti scissionisti (vedi il caso di Luigi Di Maio) ad Azione (Calenda) e Italia Viva (Matteo Renzi), non senza considerare la nuova creatura di Toti e del sindaco veneziano Luigi Brugnaro (ma con loro c'è anche un nome di peso come Maurizio Lupi). A vederli così, tutti insieme litigiosamente, ci sarebbe da rassegnarsi: nella Nazione che tutto polarizza anche quando sceglie di farsi governare da una maggioranza larghissima nelle disponibilità di un banchiere over the top a Palazzo Chigi, il centro più che un'opportunità sembra una maledizione. E allora il pensiero corre dagli aborti del presente a quelli del passato, al famoso progetto del centro-trattino-sinistra post-ulivista idealizzato da Francesco Cossiga e Massimo D'Alema come prologo involontario del famoso "«amalgama mal riuscito» chiamato Pd. 

 

Ma un discorso analogo valse per il centrodestra senza trattino, laddove il magnete centripeto berlusconiano ha finito per spogliare di senso i cespugli doppiofornisti e neodiccì di Marco Follini e Pier Ferdinando Casini consegnando a Gianfranco Fini il ruolo del dissidente in odore di laicità. Insomma siamo di fronte a una specie di romanzo centrista la cui personificazione simbolica più eclatante resta l'onnipresente Mastella, passato dai fasti dei governi sinistri azzoppati a una dimensione simpaticamente pittoresca e strapaesana. E oggi sempre lì torniamo, in un mercato necessario - perché il centro resta pur sempre un arcipelago di compensazione politica strategica - abitato tuttavia da troppe bancarelle di competenti collerici, incompetenti untuosi, riformisti da riformatorio, naufraghi di un passato guelfo e inquilini del privilegio secolare. Se c'è una morale, in questa zuffa, potrebbe essere che il centro è troppo importante per essere abbandonato nelle mani dei centristi.

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