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Mattarella-Draghi, duello al Quirinale sulle dimissioni: una doppia forzatura

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La decisione del M5s di non votare la fiducia sul Dl Aiuti al Senato spinge Mario Draghi a salire al Colle per rimettere il suo mandato nelle mani di Sergio Mattarella. Per dimettersi, insomma. E anche se Giuseppe Conte ha provato ad offrire una via d'uscita al premier - con la pagliacciata M5s dell'uscita dall'aula, che tecnicamente permetterebbe di incassare la fiducia - quest'ultimo non ne vuole sapere. Ieri il leader grillino avrebbe telefonato al presidente del Consiglio per spiegargli che la “non fiducia” dei suoi senatori non è da intendersi come una “sfiducia” formale. Draghi però sarebbe rimasto fermo sulla sua posizione: "Se domani non votate la fiducia io mi devo fermare, non posso far finta di niente". 

 

 

 

Nel frattempo la Lega, così come Fratelli d'Italia, spinge per il voto in caso di dimissioni del premier. Se Draghi decidesse davvero di fare un passo indietro, a quel punto la palla passerebbe a Sergio Mattarella, che ha avuto un colloquio col premier tre giorni fa, quando i grillini non hanno votato la fiducia sul Dl Aiuti alla Camera. Secondo il capo dello Stato, tuttavia, la situazione sarebbe ancora gestibile. Stando a Repubblica, le eventuali dimissioni del presidente del Consiglio non sarebbero sufficienti a chiamare il Paese alle urne anticipate, almeno secondo Mattarella. Si tratterebbe infatti di una crisi extraparlamentare, rimessa cioè alla volontà del presidente del Consiglio. 

 

 

 

Ora, anche al Quirinale si profila uno scontro. Mattarella come è noto vuole tutto, tranna che una crisi e peggio ancora il voto anticipato. insomma, proverà a percorrere ogni strettissimo sentiero pur di tenere l'ex presidente della Bce a Palazzo Chigi. E vorrebbe rispedirlo in Parlamento per una verifica, per una fiducia al governo - magari martedì 19 luglio - che il M5s potrebbe anche votare. Ma Draghi, da par suo - riferiscono fonti vicine a Palazzo Chigi - tira dritto per la sua strada: dimissioni, punto e stop. Impossibile, ad ora, sapere quale linea prevarrà: quella del capo dello Stato o quella del presidente del Consiglio. Per certo, come conclude Repubblica nel suo retroscena, per dirla con le parole di una fonte vicina a Palazzo Chigi, "se Draghi andasse avanti facendo finta di niente" dopo quest'ultima manovra del M5s, "dal giorno dopo sarebbe il Vietnam, ognuno sarebbe legittimato a votare solo quello che gli aggrada: il governo sarebbe paralizzato, restare non avrebbe senso".

 

 

 

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