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Enrico Letta, la questua del segretario con i generali sinistri senza esercito

Pietro Senaldi
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Il miglior spot elettorale per il centrodestra è il caos che ci sta offrendo la sinistra. Si tratta di un tentativo di accozzaglia riconducile non alla pomposa autodefinizione che i protagonisti si sono dati, «quelli dell'Agenda Draghi», bensì classificabile alla spettrale voce «reduci del fu governo giallorosso», ovverosia l'esecutivo affondato da se stesso per manifesta incapacità e al quale Renzi e il Pd, che lo avevano creato vietando il voto agli italiani, ora fingono di non aver mai partecipato.

 

 

La sinistra attuale è un eterno processo inverso, dal semplice al complicato. La premessa è elementare: la sinistra, il cui campione è il Pd di Letta, è parecchio indietro nei sondaggi e lo sventurato dem per recuperare lo svantaggio cerca di arruolare cani e porci, senza chiedere referenze particolari. Poiché lo svantaggio è marcato, è pronto a pagare un buon prezzo, politico si intende, a chi va con lui. A Calenda, il sedicente moderato con tessera Pd stracciata e signore azzurre ingaggiate, ha offerto il 30% dei seggi, e questo ha ingolosito la sinistra paupero-ambientalista di Bonelli e Fratoianni, il quale peraltro deve risolvere anche il problema di trovare un seggio alla consorte, preparata ma rimasta senza scranno per un soffio alle scorse consultazioni. I comunistoni dicono di non gradire la compagnia di Calenda, ma la protesta ha il sapore del tentativo di alzare l'ingaggio, ossia la percentuale di seggi garantiti. Gira e rigira, a ogni trattativa si assottiglia il numero di posti sicuri per il Pd, ai cui esponenti, anche a quelli autorevoli, Letta sta riservando il ruolo di portatori di voti a se stesso come leader del partito e alla coalizione, il che significa ad altri, senza premio finale in Parlamento. La situazione è che il grande Pd è costretto a una umiliante questua tra supposti alleati che lo porta a esultare per il «Sì» del verde Bonelli, sconosciuto ai più. Sono premesse che non annunciano nulla di buono.

 

 

MINESTRA SCOTTA Quella che fu la maggioranza giallorossa oggi è una frammentata realtà di generali senza esercito. Non ha truppe l'ex premier Conte, attuale sedicente capo di M5S al quale però Grillo non permette di candidare neppure Toninelli e la Taverna. E se devi ridurti a pescare sotto il livello di questi due, dove vai a finire? L'avvocato Giuseppe sa parlare. Il problema è quel che dice, ossia la minestra scotta del Movimento, un mix di bonus non finanziabili e regressione ambientalista, ma non solo. Il punto è che non ha nessuno dietro, è costretto ad appoggiarsi a Casalino e sperare in Di Battista. Peggio di lui è messo Di Maio, caporalmaggiore con una schiera di attendenti ai quali non può garantire il rancio. Ha fondato un partito ieri con il simbolo di un brontosauro democristiano, Tabacci, ma nessuno se ne ricorda neppure il nome. Tutti i suoi ex colleghi del Movimento lo disprezzano e non perdono occasione per ostentare l'opinione che hanno di lui. Siccome è furbo sa di non avere un voto e perciò si è umiliato a pietire per sé e per la Castelli e Spadafora, l'asinella e il bue, uno strapuntino dal Pd, che ha la perfidia vendicatrice di candidarlo nei pressi di Bibbiano, città simbolo degli attacchi di Luigino verso i dem. Come calcio finale, Letta ha avuto la delicatezza di rendere pubblico il mercanteggio segreto. Tabacci è il re dei generali senza esercito. Ne ha fatto un arte, brevettando un simbolo che nessuno conosce e che affitta al miglior offerente. È il più furbo di tutti e si è prestato a fare il punching-ball televisivo del premier per un anno, poi ha minacciato di candidarsi come presidente della Lombardia la prossima primavera, ottenendo in cambio dalla coalizione di sinistra un seggio sicuro come male minore. «Non c'è rispetto, qui rischia di saltare tutto» ha tuonato difendendo il suo ultimo pupillo, Di Maio, dai dileggi degli alleati. Ma i realisti hanno interpretato la frase come riferita agli elettori di sinistra. Di Calenda si è detto fin troppo. È il protagonista della tornata elettorale, e forse questo basterà a soddisfarne lo smisurato ego. Probabilmente riuscirà nella sua missione, che è far casino in modo che non vinca nessuno. C'è chi sostiene che al momento buono prenderà a pretesto l'alleanza dei dem con la sinistra per rompere e tornare da solo, in modo da riuscire nell'intento di drenare voti al centrodestra, impedire la creazione della cosa rossa a sinistra del Pd e mettere ko Letta. Ma la distruzione del segretario piddino potrebbe riuscirgli pure se gli resta attaccato, logorandolo di giorno in giorno come ha già iniziato a fare.
 

AFFARI DI FAMIGLIA Casa Fratoianni è la parte più divertente in commedia, anche perché se al leader di Sinistra Italiana, per i più che non ricordavano il nome della sua formazione, riuscisse il colpo di far eleggere anche la moglie, la coppia si candiderebbe ad alter ego nel tubo catodico di quel che sono Ferragni e Fedez sui social. D'altronde si sa che i comunisti sono decenni indietro rispetto all'attualità. Comunque anche l'ultimo rompiscatole rosso non diserta rispetto al suo compito di killer-parassita del Pd, sebbene con i voti di famiglia e quattro amici al bar. Infine lui, il martire-creatore dell'ultimo Frankenstein della sinistra. Letta si è imbarcato in un compito più grande di lui - far vincere le elezioni alla sinistra - e se ne è dato uno ancora più irrealizzabile, creare un cartello elettorale unito solo dal desiderio di poltrone e di far perdere il centrodestra e provare a tenere insieme cani e gatti, diavolo e acqua santa, avendo per di più solo promesse da distribuire. Per far godere i suoi litigiosi compagni di viaggio è costretto a tagliarsi gli attributi, ossia il numero dei parlamentari del proprio partito, che sono la sola forza di un leader. Questo fa di lui un front runner votato alla sconfitta anche se vince. Manca Matteo Renzi, che non è di sinistra e da un paio d'anni ha trovato il coraggio, o la disperazione, di dirlo e per questo probabilmente mancherà anche dal prossimo Parlamento, o avrà solo posti in ultima fila. Corre da solo, perché ha un programma così bello che nessuno lo vuole condividere e perché vuol farsi argine ai sovranisti. Non va con il Pd perché il Pd va con Fratoinanni, sostiene lui, anche se i suoi ragionamenti in materia ricordano la favola della volpe e dell'uva. Probabilmente spera ancora che Calenda faccia saltare il banco. Dirà che anche questa è opera della sua immensa abilità di ingegneria politica e spiegherà come è stato bravo a mettere un altro nel posto che vorrebbe ancora per sé ma che non avrà mai più. Perché senza eserciti, non ci sono generali in servizio, ma solo in pensione.

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