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Carlo Calenda, gli elettori premiano la coerenza: per lui finirà malissimo

Corrado Ocone
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Se scegli di giocare al tavolo della coerenza non puoi avere sbandamenti. È questa una regola aurea della politica, ampiamente suffragata dalla storia di questi ultimi anni. Ne sa qualcosa Matteo Renzi che, una volta andato al governo con ampio suffragio popolare, cominciò il suo declino quando invece di tener fede alla solenne promessa di "rottamazione" fatta agli italiani cominciò a frequentare i vecchi potenti e a ricalcarne le politiche. E che dire dei Cinque Stelle che, alla prova del governo, con il loro endemico trasformismo, si sono ridimensionati in modo impressionante?

 

 

 


La stessa recente fortuna di Giorgia Meloni non è forse anche dovuta alla coerente ma responsabile opposizione al governo presieduto da Mario Draghi? Anche Carlo Calenda sembrava fino a ieri giocare la partita della coerenza, facendo seguire alle parole ai fatti. Tanto che Azione si era conquistata uno spazio politico tutto suo portando il leader, che si era posto come alternativo rispetto alle due candidature più forti, ad avere un invidiabile exploit (quasi il venti per cento dei voti) alle elezioni comunali di Roma. La via della totale e simmetrica autonomia da destra e sinistra sembrava segnata, e questo era il messaggio che Calenda era riuscito a far passare pur essendo stato eletto col Pd e ministro in un suo governo. Gli stessi negoziati che Enrico Letta aveva intrapreso con lui e il partito di Emma Bonino, dopo il fallimento della "liason" speciale del Pd con il partito di Giuseppe Conte, sembravano più che altro di cortesia, destinati a fallire a fronte all'intransigenza del leader di Azione. Al cospetto dell'allettante proposta di Letta, che avrebbe comportato una massiccia presenza di deputati di Azione nel nuovo parlamento, Calenda, che ha da "sistemare" molti orfani (e orfane) dei vecchi partiti che hanno scelto di farsi adottare da lui, ha sconfessato al'improviso tutta la sua filosofia. Egli ha ceduto, lasciando increduli e sbalorditi soprattutto coloro che avevano preso sul serio le sue parole e lo avevano seguito. Credo che sia stato questo elemento, cioè una sorta di "pentimento" maturato già nelle ore successive all'accordo (magnificato su Repubblica come una nuova Bad Godsberg, in chiave pariolina e quindi poco credibile), a far ritornare il nostro sui suoi passi.

 

 

 


Il successivo patto di Letta con i partitini alla sua sinistra è stato l'alibi perfetto e non la vera motivazione del divorzio consumatosi: questo "passaggio a sinistra" era stato scritto infatti a inchiostro nero nelle carte dell'accordo precedente.
Ma in politica, correggere un errore, è spesso il modo più sicuro per evidenziarlo e confermarlo.
Ormai Calenda aveva perso quell'aura di "purezza" e intransigenza che si era conquistato, apparendo agli occhi di più come un politico qualunque pronto a mercanteggiare posti di potere. In una parola, il politico re di Twitter si era "suicidato". L'accordo con Matteo Renzi stipulato ieri è perciò sembrato l'ultimo atto di chi non ha da perdere più nulla, perché quel che aveva di più caro, la faccia, l'ha già persa. E risulta irritante a molti sentir parlare di "terzo polo" o "centro", visto che i due stipulanti vengono dal Pd e gravitano in un'orbita progressista. Anche in questo caso Calenda aveva giurato e spergiurato, a beneficio di telecamere, che mai avrebbe siglato un accordo con Italia Viva. Comunque sia, egli uscirà malissimo da questa vicenda: sia perché in politica due debolezze non fanno una forza, sia perché Renzi ha doti machiavelliche o diaboliche che il leader di Azione non ha. L'abbraccio ha tutta l'aria di essere, per quest' ultimo, quello mortale.

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