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Pd a pezzi. L'ultimo disastro di Enrico Letta: anche i suoi si rivoltano

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Fausto Carioti
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Enrico Letta prova a mettere qualche pezza sui disastri che lui stesso ha combinato. Lo fa in extremis e in modo rabberciato, quando mancano poche ore alla scadenza della presentazione delle liste, fissata per stasera alle 20. E lo fa perché costretto dalla rivolta della base del Pd contro i candidati piovuti da altre zone d'Italia o addirittura da altri partiti, mentre certe dichiarazioni degli "under 35" da lui stesso messi in lista sono fonte di ulteriori guai: dovevano rappresentare la svolta moderna e giovanilista, hanno portato una ventata di restaurazione comunista e avversione allo Stato di Israele.

Ma sono tutti i simboli della strategia di Letta che, prima ancora di essere sottoposti agli elettori, perdono pezzi sotto i colpi degli iscritti e dei dirigenti locali, pronti a disertare i seggi se la segreteria nazionale insiste a imporre certi alleati impresentabili. Come ha spiegato Saverio Mazza, membro della direzione torinese del Pd, che si è «autosospeso» dal partito chiedendo che fosse «rivalutata la decisione di candidare Laura Castelli nella coalizione di centrosinistra in Piemonte. I motivi sono noti e non c'è bisogno di elencarli».

 

 

IL NOME PEGGIORE - Per anni l'allora grillina, ora passata nel partitino di Luigi Di Maio chiamato "Impegno civico", ha attaccato quotidianamente i dem piemontesi, rimediando pure una condanna per diffamazione aggravata nei confronti di una loro militante e candidata, che aveva calunniato accusandola di avere una relazione impropria con Piero Fassino. Fatti davvero noti a tutti, a Roma come in Piemonte. Eppure, per mettere lei in lista nel collegio di Novara (peraltro ostico per il centrosinistra), al Nazareno avevano deciso di sacrificare la segretaria cittadina e consigliera comunale con record di preferenze, Milù Allegra. Provocando il tripudio di Matteo Renzi: «Il nuovo Pd candida Laura Castelli, il nostro Pd candidava Pier Carlo Padoan. La differenza è netta». Ma soprattutto scatenando la rivolta della base e degli organismi locali: la segreteria del Pd piemontese ha segnalato a quella nazionale «la forte preoccupazione dei militanti del territorio nei riguardi dell'ipotesi di sacrificare candidature territorialmente forti per fare spazio a figure alleate particolarmente divisive». Anche perché i piddini novaresi debbono ingoiare pure la candidatura di Federico Fornaro, esponente di Leu, piazzato capolista nel collegio plurinominale per la Camera.

È finita che la viceministra dell'Economia si è ritirata sdegnata dal collegio («No grazie, "casa mia" è Collegno»), fingendo di non sapere nulla di quella candidatura. Dal Nazareno hanno provato a spacciarla come «una notizia che è sempre stata falsa», anche se a comunicarla ai capi del Pd novarese era stato proprio Marco Meloni, l'"esecutore" di Letta per la stesura delle liste. Scena simile a quella che si è vista a Pisa: pure lì i piddini locali si sono ribellati contro il disegno del segretario di candidare nel collegio uninominale per la Camera, anziché il costituzionalista Stefano Ceccanti, il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. «Una candidatura divisiva. Dal pisano Letta non ce lo aspettavamo», ha attaccato il consigliere regionale Antonio Mazzeo.

 

 

LA SBANDATA A SINISTRA - Anche in questo caso, dinanzi alla minaccia di un'astensione massiccia degli elettori del Pd, il candidato dello scandalo si è ritirato, consentendo a Letta di offrire quel collegio a Ceccanti, il quale l'ha accettato ringraziando i democratici pisani, ma non il segretario nazionale. Fratoianni resta comunque candidato del "cocomero" rossoverde nei collegi plurinominali toscani. Questo dopo che Letta era stato costretto a rimuovere dalle liste della Basilicata il giovane Raffaele La Regina, presentato pochi giorni prima come un fiore all'occhiello del nuovo Pd. Operazione inevitabile dopo che erano emersi i suoi trascorsi di nemico di Israele, caratteristica peraltro comune a diversi candidati, come conferma il caso di Antonella Pepe, schierata nel collegio uninominale di Benevento. Così, in zona Cesarini, Letta ha potuto recuperare un altro moderato che era stato messo da parte in nome della sterzata a sinistra, ossia il sottosegretario draghiano Enzo Amendola. «Un po' di trucco per coprire i segni degli altri disastri», commenta amaro un avversario interno di Letta.

Dovrebbero infatti restare in lista gli "under 35" Rachele Scarpa, che ha accusato Israele di praticare «un regime di apartheid» e invocato la «patrimoniale subito», e Marco Sarracino, che ha inneggiato a Lenin e alla rivoluzione d'ottobre. Ambedue contestati pure dentro al partito, anche perché per regalare un seggio a loro sono state fatte fuori teste meglio pensanti. Dopo aver chiesto a La Regina di ritirarsi, Letta non intende sconfessare ulteriormente le proprie scelte facendo lo stesso con gli altri giovani da lui voluti: belle o brutte che siano, le loro facce sono anche la sua. Gli saranno messe in conto il 26 settembre, assieme al risultato del voto.

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