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Luigi Di Maio, attacco senza precedenti: "Centrodestra? Libertà a rischio"

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La media dei sondaggi vede il centrodestra avanti ormai di venti punti. E più il distacco cresce e si avvicina la data del voto, più Enrico Letta e i suoi alleati ricorrono all'arma del terrore nella speranza di far cambiare idea agli elettori, o di provocare una reazione internazionale contro i loro avversari: se non prima del 25 settembre, quantomeno all'indomani. Ha imboccato questa strada anche Luigi Di Maio, capo del partitino Impegno Civico e schierato col Pd, grazie al quale conta di farsi rieleggere alla Camera nel collegio di Fuorigrotta. Abbandonata l'immagine istituzionale da ministro degli Esteri alle prese con dossier della massima importanza, si è gettato nella zuffa, scegliendo di diventare la versione truce di Letta: se il capo dei dem lancia un attacco, tempo qualche ora e Di Maio lo rilancia da par suo.
 

 

 

 

 

INSTILLARE LA PAURA L'ultima dell'ex capo dei Cinque Stelle è che le elezioni, cioè il momento in cui la democrazia raggiunge la sua massima espressione, rischiano di causare la fine della libertà in Italia: nel caso in cui, ovviamente, a vincere sia il centrodestra. L'uomo che tre anni fa aveva portato l'Italia nelle fauci della Cina, firmando col presidente Xi Jinping l'intesa che segnava l'ingresso del nostro Paese nella nuova "Via della Seta" (lo strumento commerciale ideato dal regime di Pechino per attirare nella propria orbita gli Stati più indebitati), ora attacca via Facebook i leader del centrodestra sostenendo che «le loro misure economiche, le loro amicizie internazionali, le loro idee di stravolgimento della Costituzione mettono a rischio il nostro Paese, i nostri risparmi, la nostra libertà».
Se la maggioranza degli italiani non si affiderà alla coalizione sua e di Letta, insomma, il 26 settembre ci sveglieremo in un regime dispotico. Dopo la «bancarotta» dei conti pubblici paventata dal segretario piddino, che ha trovato nel Financial Times chi è disposto a prenderlo sul serio, l'altro tassello della strategia del terrore è questo. E pure Di Maio, manco a dirlo, tiene a «dire agli italiani» che i leader avversari «stavano per mandare in default l'Italia una volta, possono farlo di nuovo.
Non dimenticatelo». In questo disegno volto a seminare panico dentro e fuori l'Italia, un ruolo importante lo riveste lo spauracchio russo, utile anche a delegittimare e contestare la possibile vittoria del centrodestra: se accadrà, non sarà perché lo hanno scelto liberamente gli italiani, ma perché lo ha voluto il Cremlino.
 

 

 

 

SCREDITARE L'ITALIA Anche in questo caso, Di Maio va a ruota del suo nuovo capo. Letta infatti gli ha aperto la strada, dicendo al giornale spagnolo El Periódico che «in questa campagna elettorale c'è una forte ingerenza della Russia a favore della destra». Il ministro degli Esteri, il cui ruolo dovrebbe essere quello di difendere gli interessi internazionali dell'Italia, si è messo nella sua scia ed ha ripetuto la narrazione del Paese a democrazia limitata, in cui il risultato del voto può essere alterato dalle manovre di Mosca. «La campagna elettorale è inquinata. I tentativi di interferenza russa sono evidenti» e, «se la destra dovesse andare al governo, la Lega ci porterà in braccio a Putin, così come Meloni in braccio a Orbàn», ha detto intervistato su Repubblica di ieri. È solo l'inizio della campagna elettorale, al voto manca quasi un mese, durante il quale simili concetti saranno ripetuti ed amplificati in ogni sede. Se non faranno cambiare idea agli italiani, serviranno comunque a preparare il terreno per sostenere che il voto è stato inquinato dai russi e chiedere alle istituzioni europee e agli altri governi occidentali di isolare il nuovo esecutivo, confidando così di farlo durare il meno possibile e rimpiazzarlo con un governissimo nel quale possano tornare a sedersi il Pd e i suoi alleati. L'aspetto folkloristico, se così si può chiamare, è il pulpito da cui vengono simili accuse. È stato facile per Giovanbattista Fazzolari, senatore di Fratelli d'Italia, recuperare un video del 2016 in cui Manlio Di Stefano, fedelissimo di Di Maio e dal 2018 sottosegretario agli Esteri, entrato anche lui nel partitino del ministro, si presenta a nome del M5S al congresso di Russia Unita, il partito di Putin, per dire che a Kiev c'era stato «un golpe per portare la Nato ai confini della Russia», denunciare «l'ingerenza esterna di Ue e Stati Uniti» in Ucraina e promettere che «una volta al governo rivedremo la partecipazione dell'Italia alla Nato». Per tacere della Cina e tutto quello che lo stesso Di Maio ha fatto per Pechino, fin quando non gli è stato spiegato che, se volevano restare alla Farnesina, lui e Di Stefano dovevano allinearsi sulle posizioni atlantiche di Mario Draghi. Il livello è questo

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