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Rachele Scarpa, la gaffe rivelatrice: per il Pd il sussidio è meglio del lavoro

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Fausto Carioti
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Ignorando l'articolo 1 della Costituzione, quello della repubblica «fondata sul lavoro». Facendo carne di porco di una tradizione che oggi va rimpianta, vista la fuffa con cui l'hanno rimpiazzata: «Compagni, avanti! Il gran partito noi siamo dei lavoratori...». Insomma, un'altra perla di Rachele Scarpa, vincitrice del Premio Letta categoria Giovani e premiata con un seggio sicuro, che nel Pd di oggi è merce rara. È la stessa che aveva denunciato «il regime di apartheid di Israele».

 

 

Stavolta ci fa sapere che «dobbiamo interrompere quel circolo vizioso per cui il lavoro è l'unico mezzo di sostentamento delle persone», e quando il renziano Luigi Marattin le chiede cosa significhi, lei si rifugia in una supercazzola in cui l'unica cosa chiara è quanto siano crollati i criteri di selezione nel partito erede del Pci e della Dc. Facile prendersela con Letta, ma il problema non è solo suo. Se lo scopo dei partiti è portare in parlamento chi rappresenta certe componenti della società, la Scarpa è perfetta.

 

 

La retorica dei diritti che ignora il fastidio dei doveri, la convinzione che lo Stato debba realizzare le nostre aspirazioni, e che in un mondo pieno di cose bellissime da fare e posti stupendi da visitare, mettere il lavoro in cima ai valori significhi sprecare l'esistenza. Se hanno inventato il Welfare State e l'Inps, è perché ci diano il progresso liberandoci da certe schiavitù. A gente simile, l'idea che nessun pasto sia gratis manco la sfiora. Nemmeno si può parlare di braccia rubate all'agricoltura, perché nei campi c'è lavoro e sudore. Cervelli rubati alle liste grilline, quello sì: spiega tutto, inclusa la triste parabola del Pd.

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