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Sanzioni, da Matteo Salvini una lezione di realismo: così non possiamo reggere

Pietro Senaldi
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In politica ci sono verità che vanno taciute perché, se dette nel momento sbagliato, possono nuocere a chi le rivela e fare più danni che altro, addirittura avvantaggiare i rivali. Ci sono poi mezze verità che, se proferite al tempo giusto, possono sortire effetti significativi e invertire il corso delle cose. La frase con cui Salvini ieri ha risquadernato la dolorosa vicenda delle sanzioni alla Russia, facendo eco al lamento di molti imprenditori e molte famiglie che, pur parteggiando per l'Ucraina, chiedono un cambio di linea dell'Italia potrebbe rientrare nella seconda categoria. I provvedimenti presi contro Putin mettono ko noi e neppure scalfiscono lui è la sintesi del ragionamento con cui il leader leghista ha messo ufficialmente sul tavolo il tema della revisione della strategia economica anti-Putin.

 

È la mossa più significativa finora della campagna elettorale dell'ex ministro dell'Interno ma non è un cambio di linea. La Lega è sempre stata la componente meno belligerante e più strategica dell'esercito di Draghi sul fronte ucraino, ma tutte le volte che ha espresso perplessità o balenato soluzioni alternative è stata tacciata di putinismo dalla sinistra, che si è buttata nella guerra con la voluttà di un kamikaze. Invece era semplicemente buonsenso. Tutto era prevedibile, ma il furore del Pd nel seguire la linea imposta da Draghi non consentiva defezioni nella maggioranza. Ora che il governo è caduto, si può guardare alla crisi ucraina con oggettività e pensare al bene degli italiani innanzitutto, perché le guerre, specie se non si ha un esercito sul campo, si vincono economicamente e noi non solo siamo più poveri rispetto a quando il conflitto è iniziato, ma abbiamo visto il nemico, non russo ma cinese, arricchirsi, così come sulla nostra pelle si stanno arricchendo Paesi alleati negli ideali ma egoisti nel perseguire i propri interessi.

 

Dopo l'uscita di Salvini i soliti corifei della sinistra diranno che il centrodestra si è spaccato sul fronte russo, ma non è così. Berlusconi ha chiaramente fatto sapere da giorni che la situazione non può continuare così e si è offerto addirittura come mediatore, denunciando la scarsa caratura dei leader ai quali da anni si affida l'Occidente. La Lega è un partito popolare e di imprese, pacifico prima che pacifista, laborioso quando invece la guerra distrugge. Ieri non ha teso la mano a Putin, che politicamente ha già perso questo conflitto, con il quale ha condannato se stesso e la propria nazione a un tramonto irreversibile, ma agli italiani. Quanto alla Meloni, lei ha già vinto la guerra. Dal primo minuto si è schierata sulla linea atlantista, ha ricevuto per questo riconoscimenti internazionali e, ora che potrebbe guidare il Paese in un governo di centrodestra, ha bisogno perfino più dei propri alleati che le bollette non paralizzino la nostra economia e l'inflazione non riduca in tremende ristrettezze dieci milioni di italiani. Con le esternazioni di ieri, Salvini ha fatto un favore a se stesso ma anche all'alleata, e soprattutto ha messo spalle al muro il Pd e tutta la sinistra, Renzi e Calenda inclusi. Qual è il loro programma di governo per gli italiani? Invadere la Russia, fermare le imprese, tornare alla circolazione a targhe alterne, lavarsi con l'acqua fredda a dicembre? Gufare per il peggio nella speranza che sull'orlo del precipizio torni Draghi? Ma Draghi non tornerà, tantomeno per mettersi al servizio di Letta e compagni. 

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