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Sinistra, la retorica dei compagni: solo loro possono cambiare la Costituzione

 Enrico Letta

Iuri Maria Prado
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La retorica del centrocomunista a difesa della Costituzione "figlia della Resistenza e dell'antifascismo" è forse la più pretestuosa e illiberale tra le tante balordaggini di questa campagna elettorale. A parte il fatto che il criterio è ballerino (nel senso che, quando sono fatte dalla sinistra, le riforme costituzionali vanno benissimo), c'è che adibire la Costituzione a feticcio, presidiato da una guarnigione di intangibilità, significa fare un pessimo servizio allo Stato di diritto che si vorrebbe proteggere: il quale prevede anche, tra le altre cose, come modificare la legge fondamentale. 

 

Ma, questo a parte, c'è poi che passare qualsiasi proposito di riforma per eresia significa confondere la legge con un valore. Il guaio è che sono cose diverse: la legge è un fatto che vale per tutti; il valore dipende dal giudizio di ciascuno e, almeno in democrazia, vincola solo chi lo condivide. È un fatto, per esempio, che, a norma della nostra Costituzione, l'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Fino a prova contraria, tuttavia, il fatto che la Costituzione dica così non implica in nessun modo che sia obbligatorio adorare quella disposizione e preferirla - che so? - a una che dicesse che l'Italia è una repubblica democratica fondata sulla libertà. E lo stesso discorso vale per una gran quota dei principi fondamentali elencati dalla legge suprema. 

 

Non casualmente, peraltro, a difesa aprioristica e indiscriminata rispetto a qualsiasi ipotesi di riforma si pone specialmente la tradizione politica che della Costituzione ha fatto strage continua, disapplicandola e lasciando che fosse disapplicata nei tribunali, nelle carceri, nello svolgimento delle campagne elettorali e referendarie e fino al grande esperimento di demolizione delle libertà elementari affidato alle decretazioni personali del punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti: quel Giuseppe Conte ora a capo del partito che ha la primogenitura dello smezzamento parlamentare avvenuto con una riforma della Costituzione evidentemente non spiacevole per la sinistra che l'ha votata.

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