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Giorgia Meloni, cosa vuole Biden dal centrodestra: Germania nel mirino

Alessandro Giuli
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Che cosa si aspetta la Casa Bianca dall'Italia di Giorgia Meloni? Nulla di nuovo: stabilità, concretezza, coerenza. Non per caso il recente avvertimento giunto dal presidente Joe Bi den nel corso di un evento preelettorale predisposto in chiave anti trumpiana - «Avete visto che cosa è successo nelle ele zioni in Italia... non si può essere ottimisti» - è stato subito temperato, in via ufficiale, dalla diplomazia statunitense: gli Stati Uniti hanno fretta di collaborare con il prossimo governo italiano nel quadro di un'alleanza consolidata e inscalfibile sotto vari aspetti. A cominciare dalla lealtà con cui Meloni e Fratelli d'Italia si sono immediatamente posizionati accanto al mondo libero che sostiene lo sforzo dell'Ucraina nella lotta contro l'invasione russa. Un punto fondamentale, questo, testimoniato dal recente viaggio oltreoceano del dirigente meloniano Adolfo Urso e dall'autorevole lavorio di Guido Crosetto, cofondatore di FdI e figura di garanzia nel paesaggio dell'industria pesante a livello internazionale.

 


L'apertura di credito che Washington sta riservando alla nuova destra di governo non può essere sottovalutata, anche perché si colloca in una fase storica nella quale l'hard power contro Mosca percorre un lungo arco di crisi che arriva fino al Mediterraneo, laddove gli interessi energetici italiani si confrontano con il crescente potere condizionante di Mosca e Pechino in Africa (Libia, Algeria, Sahel in particolare). Se non è mai venuto meno il valore stabilizzante della posizione filo atlantica di Roma riaffermata con toni e modi sempre più assertivi dalla presidenza del Consiglio affidata a Mario Draghi dal 2021, dopo due anni e mezzo di oscillazioni sino-russe serpeggianti nei governi di Giuseppe Conte, adesso è giunto il momento di liberarsi da qualsiasi ombra riconducibile all'internazionale sovranista. Qui risiede la concretezza richiesta.
 

 

 

 

ADDIO A TRUMP La destra costituzionale italiana sta investendo in una forte impronta liberal-conservatrice poco compatibile ormai con le pulsioni populiste disordinatamente aggrumatesi intorno al disruptor Donald Trump secondo i canoni narrativi costruiti dal suo consigliere Steve Bannon, che in Meloni vide a suo tempo la promettente retrovia di un improbabile movimento antisistemico la cui punta avanzata era costituita dalla Lega e dal Movimento Cinque stelle. Ferma restando la totale irriducibilità di FdI rispetto al radicalismo extraparlamentare e al netto di qualche residuo nostalgico interno subito "bonificato" dalla dirigenza meloniana, nulla della vecchia stagione oppositiva può sopravvivere alla prova delle urne e alla conseguente responsabilità di «risollevare le sorti dell'Italia» (parole di Giorgia), se non nella forma sublimata di una legittima difesa dell'interesse nazionale. E qui entra in gioco l'Europa, attraversata dal fremito nazionalista della Germania e dei suoi alleati nordici rispetto alle esigenze di elaborare un piano energetico continentale e di fronteggiare in modo coeso le conseguenze non soltanto belliche del conflitto russo -ucraino. Le ambiguità di Berlino sul price cap all'approvvigionamento di gas sono viste dagli alleati occidentali al tempo stesso come un segnale d'allarme e di debolezza. L'Europa renana è vittima di un egoismo alluci natorio dovuto all'impennata inflattiva che terrorizza i te deschi sin dagli anni di Wei mar almeno quanto l'attuale calo delle esportazioni su cui si fonda il surplus della bilan cia commerciale che ha reso protagonista la Germania nei mercati asiatici (in primis la Cina, che patisce una preoccupante contrazione del Pil).

 

FRATELLI LATINI Di qui l'urgenza di controbilanciare la spinta isolazionista puntando su Parigi e Roma, già protagoniste di un fertile riavvicinamento culminante nel Trattato del Quirinale siglato dall'Eliseo con Palazzo Chigi, auspice il presidente Sergio Mattarella: l'Italia atlantica che ritrova una partnership con la sorella latina e s' impegna nel comune contenimento dell'influenza asiatica, il fronte sud del pilastro euro-orientale della Nato che va dal Baltico al Mediterraneo allargato e libera risorse per irrobustire la presenza americana nell'Indo-Pacifico. In assenza d'una politica estera e di difesa monolitica da parte di Bruxelles, gli Stati Uniti si trovano costretti a triangolare con le varie cancellerie europee; ma sempre alla ricerca di un riallineamento complessivo che scoraggi cedimenti a ogni forma di Ostpolitik. Per certi versi, una guerra civile europea è già in corso a Kiev, epicentro del più grande scacchiere geopolitico e assiale che vede contrapporsi in ordine sparso le democrazie e i dispotismi, c'è dunque bisogno di scoraggiare ulteriori tentazioni antieuropeiste. Una cosa è tenere sotto controllo la Germania, per così dire, altro è correre il rischio che l'Ue si disgreghi proprio nel momento in cui si fa maggiormente necessaria una sovranità europea ancora tutta (o quasi) da riscrivere. 

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