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Roberto Calderoli, il ruolo-chiave nell'intesa del centrodestra

Pietro De Leo
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Sembra esserci una prima schiarita sui nomi in vista di quel puzzle ad incastro che, passo dopo passo, arriverà a comporre il governo di centrodestra. E che passa, come fase preliminare, dall'elezione dei presidenti delle Camere, la cui convocazione, che darà il via alla XIX legislatura, è fissata per giovedì prossimo. Intanto, si va verso quella certezza che via via ha preso corpo in questi giorni: entrambi i rami del Parlamento saranno guidati da un esponente della maggioranza. E dopo il vertice di ieri, si rafforza la voce secondo cui Presidenza del Senato potrebbe andare al leghista Roberto Calderoli.

 

Una soluzione che, se confermata, risulterebbe molto gradita a Matteo Salvini, inserendo in un ruolo complicato una figura in possesso di tutti i crismi per poter gestire le sfide parlamentari. Sugli scranni di Palazzo Madama, infatti, la differenza numerica tra maggioranza e opposizione è più ristretta rispetto a Montecitorio, e dunque serve un profilo d'esperienza per la gestione, complessa, dei lavori, così come della conferenza dei capigruppo. Calderoli lo è, avendo ricoperto la carica di vicepresidente per svariati lustri (lo è stato anche in questa legislatura che si va a chiudere).

Al di là di questo, conosce a menadito tutti gli anfratti regolamentari della prassi parlamentare, è stato protagonista di blitz memorabili in punta di norma e di battaglie campali a colpi di emendamenti ben piazzati (mitologico l'algoritmo che fece elaborare per produrne valanghe ai tempi del ddl Boschi). E proprio per questa sua enorme esperienza, viene spesso consultato off the record anche dai colleghi più giovani di altri partiti.

Calderoli, però, è strategico anche dal punto di vista politico. Costituisce un "ponte" tra la lega nordista e quella di conio salviniano, non è mai stato refrattario all'evoluzione in senso nazionale pur rimanendo ancorato alle origini. E questo collegamento tra due fasi storiche lo ha ricordato lui stesso, qualche settimana fa, quando dal Palco di Pontida ha sottolineato la sua presenza a tutte le edizioni della kermesse sul pratone.

Ora, dunque, per lui si spalancherebbero le porte di Palazzo Giustiniani, aprendo la prospettiva per l'incastro delle altre tessere. La prima, riguarda proprio il Senato. L'altro nome in lizza per la Presidenza, infatti, è l'esponente di Fratelli d'Italia Ignazio La Russa, anche lui vice presidente dell'emiciclo nella XVIII Legislatura.

Stante l'opzione Calderoli, dunque, dovrebbe tornare a sedersi al tavolone rotondo del Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi. Luogo per lui non inedito, dato che già lo praticò nell'ultimo governo Berlusconi da titolare della Difesa. In quell'esecutivo sedeva anche Giorgia Meloni, responsabile delle politiche giovanili. La presenza di Ignazio La Russa risulterebbe molto funzionale per una serie di motivi: è esperto della prassi governativa, è un fedelissimo della leader (avendo vissuto tutto il percorso di Fratelli d'Italia sin dalla fondazione) e non si tira indietro sui duelli verbali. In lui la futura presidente del Consiglio troverà un valido alleato nei momenti più delicati della dialettica con il resto della compagine governativa, che non mancano mai in ogni storia del governo.

 

A questo punto, se dovesse confermarsi questo assetto, rimarrebbe da sciogliere il nodo della Camera dei Deputati. Lo scranno più alto, per forza di cose, non andrebbe più a un leghista, dunque niente Giorgetti, come era circolato negli scorsi giorni nei conciliaboli. In lizza un nome di Fratelli d'Italia odi Forza Italia. Se dovesse andare al partito di Giorgia Meloni, la figura più accreditata potrebbe essere quella di Francesco Lollobrigida, che nella XVIII legislatura è stato capogruppo di Montecitorio, ruolo che pareva fosse destinato a mantenere anche nella legislatura che si avvierà in questa settimana.

Figura vicinissima a Giorgia Meloni, fa parte della giovane generazione che ha dato anima e slancio a Fratelli d'Italia, radicandolo sui territori. Pratica che lui conosce bene, avendo svolto tutto il cursus honorum, prima del Parlamento, da consigliere comunale di Subiaco ad assessore regionale. Fino all'esperienza alla Camera, appunto, alla guida dell'unico gruppo che in questi cinque anni è sempre stato all'opposizione. Sul capitolo azzurro, invece, c'è un nome che potrebbe essere funzionale, per quanto sia saldamente presente anche nei totoministri (tra gli accreditarti per la Farnesina). È quello di Antonio Tajani, coordinatore nazionale del partito e all'"esordio" nel Parlamento italiano, alla Camera, dopo 28 anni di lavoro in Europa, tra Commissione e Aula di Bruxelles e Strasburgo. Di cui è stato vicepresidente vicario e poi presidente nella seconda metà della legislatura 2014-2019. 

Dunque con un'esperienza già consolidata nella gestione di lavori d'Aula e dei complessi equilibri tra le varie forze che ciò porta con sé. Sul piano politico relativo agli equilibri della coalizione, ciò segnerebbe un sostanziale riconoscimento della centralità degli azzurri e del contributo apportato per la vittoria elettorale. Questo, dunque, è quel che si dipana al termine di una settimana dove il vertice di Arcore ha segnato, sicuramente, un passo avanti nel confronto tra le tre forze politiche nel percorso di formazione del governo. E che si riaggiornerà questa settimana, prima dell'ora x per l'inizio della nuova legislatura. Nei prossimi incontri tra i leader, le ipotesi per la Seconda e la Terza Carica dello Stato diventeranno realtà e dare il via alla partita. 

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