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Il Pd non vuole mollare il potere: Senaldi, il vero allarme-democrazia

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Pietro Senaldi
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Poco prima delle scorse Politiche la sinistra, subodorando la propria disfatta e la vittoria di Giorgia Meloni, si è data da fare per blindare le poltrone del sottopotere, quelle che non vengono decise dai cittadini ma dai giochi di Palazzo e che da oltre dieci anni a questa parte finiscono inesorabilmente a qualche fiduciario dei dem. Si calcola che in una manciata di settimane siano state fatte circa duecento nomine dentro i dicasteri, per garantire una mancata transizione, in barba al voto popolare. La più spudorata è quella decisa dall'allora ministro della Salute, Roberto Speranza, che giusto venti giorni prima del voto ha promosso a direttore generale della programmazione sanitaria un suo compagno di scuola.

L'appetito vien mangiando e, prima di lasciare il potere, i progressisti si sono dati da fare per spazzolare la tavola. Ritengono naturale perdere le elezioni e continuare a comandare. Non si spiega altrimenti la levata di scudi contro la rimozione di Giovanni Legnini, ex parlamentare del Pd e già sottosegretario di Letta, da circa tre anni commissario alla ricostruzione post terremoto in Abruzzo, e sostituito due giorni fa dal governo di centrodestra con il senatore di Fdi, Guido Castelli. Per difendere la poltrona del dem, transitato dalla Camera alla vicepresidenza del Consiglio della Magistratura e, dopo aver perso le elezioni Regionali nel 2019 contro Marco Marsilio, riciclato come commissario al sisma, si è schierata tutta la sinistra, vescovo di Norcia incluso. Non avendo nulla di meglio da contestare a Castelli, la sinistra gli ha rinfacciato di essere un parlamentare, dimenticando che lo erano anche Vasco Errani e Paola De Micheli, quando il Pd li nominò rispettivamente per l'Emilia Romagna e per l'Umbria.

Argomentazioni debolissime, che mal celano la pretesa dei progressisti che la Meloni governi con uomini di loro fiducia anziché con gente che risponde a lei. Tanto più che il fatto che Castelli sia un senatore fa sì che egli assuma l'incarico a titolo gratuito, garantendo allo Stato un risparmio di centomila euro l'anno. Tale era infatti il compenso di Legnini. Ma questo poco conta per i compagni, che sono talmente convinti che lo Stato appartenga a loro che, quando uno della conventicola rossa viene legittimamente sostituito, in un normale avvicendamento di potere benedetto dalle urne, reagiscono offesi e rabbiosi, come se qualcuno gli avesse rubato qualcosa dal piatto. E in effetti, il piatto del commissario Legnini era piuttosto succulento, e monocolore. Nei suoi tre anni di mandato, l'ex parlamentare Pd ha ampliato a dismisura la propria struttura commissariale, dispensando una miriade di consulenze e incarichi dei quali è arduo venire a capo, visto che alcuni sono stati contrattualizzati con Invitalia, agenzia pubblica di proprietà del ministero dell'Economia. Legnini ha continuato a reclutare collaboratori fino all'ultimo, appigliandosi a ogni aggancio normativo della legge di bilancio per prorogare l'incarico ai suoi protetti. Tra questi, si segnalano l'ex deputato dem Perluigi Mantini, consulente giuridico per 154mila euro, la vicesindaca di Roma Silvia Scozzese, che incassa 48mila euro per fornire dritte istituzionali, l'eurodeputata di +Europa Daniela Aiuto, che vanta un contratto di 86mila euro e Paola Inverardi, 48mila euro grazie alla sua esperienza nel Comitato per le Idee dell'Aquila. Seguono una pletora di sottopanza dem nonché i due subcommissari Gianluca Loffredo e Fulcio Soccodato, 200mila euro ciascuno, ma sono tecnici e non politici.

Ma qual è il risultato di cotanto squadrone? La ricostruzione privata, per quanto riguarda i danni gravi, si attesta al 4,24% mentre i dati per i danni lievi (47,8%) hanno registrato nel 2022 uno stop dovuto alla concorrenza del superbonus e alle molte incertezze che hanno costellato l'aggiornamento del prezziario del sisma. Quanto alla ricostruzione pubblica, essa è di fatto al palo, con una percentuale di realizzazione del 5%, che scende al 2% se si parla di scuole, visto che l'ordinanza in materia (300 milioni di progettazioni e di lavori) è ferma da mesi con i sindaci, ai quali il commissario ha fatto di recente visita, carico di parole e promesse nell'intento di rafforzare la propria posizione, che aspettano disperati. La vicenda Legnini è solo uno squarcio del sistema Pd che amministra indisturbato il Paese. La sinistra rivendica con orgoglio la gestione del potere, sostenendo di essere più brava, ma siccome gestisce solo lei e l'Italia è un esempio mondiale di inefficienza pubblica, forse andrebbero rivisti alcuni caposaldi della narrazione che politica e media fanno delle abilità di amministrazioni progressiste. I dem sono imbattibili in avidità, bulimia e faccia tosta, non in competenza. E, giusto perché amano farsi chiamare democratici, e almeno finché non cambieranno un'altra volta nome, dovrebbero accettare la regola che, chi è indicato dal popolo per governare, ha il diritto e il dovere di fare le scelte che le leggi dello Stato gli riservano. Che piaccia o no a Legnini, Letta e ai loro santi in paradiso.

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