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Ucraina, il vizio del "Corriere": quanto ipocrisia sulle armi a Kiev

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Iuri Maria Prado
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È un po' curioso che si facciano le pulci ai pensieri di chi non manderebbe armi all'Ucraina, ma vota per mandarle, e non a quelli che affettano propositi di sostegno con tanti se e tanti ma mentre in Europa e in Italia molti dei loro rappresentanti remano, e alcuni persino votano, contro le politiche di aiuto militare.

 

Il Corriere della Sera, dopo aver pubblicato nei giorni scorsi l'articolo di un influencer della fisica pacifista, il professor Carlo Rovelli, il quale addebitava alla responsabilità dell'Ucraina, non della Russia, l'operazione tesa a «radere al suolo intere regioni» (in pratica è la resistenza ucraina che bombarda sé stessa e i propri connazionali), l'altro ieri ci picchia sopra il pezzo di Francesco Verderami che mica si occupa dei pacifisti comunisti sindacalisti che intralciano il corso degli aiuti ai servi della Nato, vale a dire i combattenti ucraini che resistono all'esercito di stragisti, torturatori, stupratori e deportatori che ormai da quasi un anno tenta di annichilire quel Paese: no, si occupa del fatto che votare per l'invio delle armi non basta, perché «serve avere anche una postura, un tono di voce e soprattutto un linguaggio convincente che sia coerente con la scelta». 

 

Invece la postura del capo progressista che va in piazza a scodinzolare sotto le insegne del collaborazionismo pacifista, quello che raffigura Zelensky col naso adunco e il braccio fasciato di svastica, nel bel vento di pace che agita una foresta di bandiere di Hamas, quella postura invece va bene. Il tono di voce: è buono quello di Gianni Cuperlo, quello sì «coerente con la scelta» quando, sempre durante la manifestazione per la pace con il culo degli ucraini, diceva che «Di armi ne abbiamo già mandate molte». Il linguaggio convincente: magari quello di Elly Schlein, la tipa che in versione pre-candidata diceva «La pace in Ucraina non si fa con le armi» e che ora, promossa a riferimento fortissimo di tutti gli uteri democratici, per cavarle fuori una parola favorevole, ma proprio sottovoce, all'invio delle armi, ti devi prima sorbire quarantacinque minuti di pipponi che trionfano nel capolavoro secondo cui l'aiuto all'Ucraina «non è una scelta da condannare». Un endorsement vigoroso e convinto, diciamo. Quando si ricercano ambiguità e ipocrisie sarebbe bene perlustrare un po' dappertutto: ogni tanto anche casa propria. 

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