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Elly Schlein? È la Soumahoro del Pd: perché per lei è finita

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Fausto Carioti
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Il modo con cui Corrado Formigli, intervistandola a PiazzaPulita, ha messo Elly Schlein dinanzi alla propria inconsistenza, è un segno dei tempi. Che per la trentottenne italo-svizzera idolatrata dall'Espresso volgono al cupo. Finché a voltarle le spalle per andare con Stefano Bonaccini è Dario Nardella, passi: anche se ha litigato col suo predecessore, il sindaco di Firenze resta antropologicamente renziano, quindi agli antipodi di una come la Schlein, movimentista e sardina. Ma ora a scappare via da lei sono quelli di sinistra-sinistra: e se non ci stanno più nemmeno quelli col pugno chiuso e la Palestina nel cuore, chi le resta? Prendiamo lo spezzino Brando Benifei, capodelegazione del Pd nel parlamento europeo. Uno che viene dalle file di Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Andrea Orlando. Un rosso vero, insomma, che in più ha l'età della Schlein. E infatti tutti, nel partito, lo davano per sicuro con lei. «Ho scelto Bonaccini», ha annunciato invece l'altro giorno. Come lui faranno molti, assicura all'edizione bolognese di Repubblica. «Si schiereranno nello stesso modo altri con cui condivido una storia di appartenenza e un percorso politico di un certo tipo alla sinistra del partito, e anche miei coetanei con cui abbiamo portato avanti diverse battaglie». I più ideologizzati e i giovani, insomma: quelli che dovevano tirare la volata alla Schlein.

DIETRO ALLA RETORICA
La ragioni, raccontano nel Pd, sono tre. La prima è Bonaccini: è riuscito a far passare il messaggio che sarà il candidato di tutti, non solo dell'ala moderata e riformista, degli amministratori locali e degli orfani di Renzi (che già potrebbero bastargli per vincere). La seconda è la Schlein: più lei parla, più si capisce che dietro alla retorica del femminismo e dell'ambientalismo, alla rivendicazione della bisessualità e a frasi come «vorrei un Pd che si reimmerge nelle fratture della società» (ieri, intervistata dal Manifesto), c'è il vuoto. E quindi l'inevitabile sudditanza nei confronti dei Cinque Stelle, che nessuno dei democratici - nemmeno chi cerca una nuova alleanza con Giuseppe Conte - vuole. La terza ragione è lo spettro di Aboubakar Soumahoro: la triste fine del candidato di cartone inventato da Zoro e Marco Damilano, gemello politico della Schlein, ha lasciato un altro segno sul volto crepato del Pd. Meglio l'usato sicuro emiliano: almeno sai chi ti metti in casa.

Il più lesto a capirlo, dentro la izquierda piddina, è stato Matteo Orfini. «È in gioco la sopravvivenza del partito e c'è bisogno di affidarsi alla soluzione più solida, cioè Bonaccini», ha spiegato settimane fa. «Orfini e tanti altri sanno bene che la Schlein è un'operazione di marketing, utile solo per rompere le scatole a Bonaccini e togliere al Pd l'immagine di partito maschilista», traducono nel Pd romano. Niente di strano, allora, che sul carro di Bonaccini ci sia già metà della gauche piddina. Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, doveva sfidare il governatore da sinistra: è diventato il suo primo sponsor. Michele Emiliano parla la lingua dei Cinque Stelle, ideologicamente è con la Schlein che dovrebbe stare: invece l'altro giorno era lì, ad abbracciare in pubblico Bonaccini. Il nome di Claudio Mancini fuori dal raccordo anulare dice poco, ma nella capitale è l'uomo forte del partito. Viene dall'istituto Gramsci, è stato con Massimo D'Alema, è sposato con la scrittrice femminista Fabrizia Giuliani: anche lui lavorerà per il governatore.

LA LEADER DEGLI INCOMPRESI
Si aggiungono all'ex ministro Roberta Pinotti, a Piero Fassino, alla franceschiniana Pina Picierno, al lettiano Marco Meloni, a Vincenzo De Luca e a quasi tutti gli amministratori locali del Pd. Pure chi non si schiera con Bonaccini finisce per portare acqua al suo mulino: Gianni Cuperlo sta alla sinistra del partito, ma anziché sostenere la Schlein si candida in proprio alle primarie. I pochi voti che prenderà, li toglierà a lei. Alla paladina dei diritti civili restano Francesco Boccia, il vicesegretario Peppe Provenzano, Goffredo Bettini e qualcun altro: ma tutti, ad eccezione di Dario Franceschini, vengono dalla sinistra piddina ansiosa di accasarsi con i Cinque Stelle, o dai gruppi studenteschi o da Articolo 1. Mentre Bonaccini pesca ovunque, anche nelle acque della rivale, non si trova un riformista o un ex renziano disposto a stare con la Schlein, e lei stessa fa di tutto per respingerli. Se vuole uscire da questa storia come la leader dei talebani incompresi dal partito, la strada è quella giusta.

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