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Antonio Polito, il Pd è solo correnti: "Un grande partito può sparire"

Pietro De Leo
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«Oramai nel Pd è sempre e solo una questione di gruppi e di correnti». È il giudizio che esprime, al telefono con Libero, Antonio Polito. Editorialista del Corriere della Sera, una decina di giorni fa ha scritto un articolo molto critico sul percorso congressuale dei dem scandendo una serie di «smettetela» rivolta alla classe dirigente del partito e agli sfidanti per la leadership.

Si è appena chiusa l’assemblea, ed è il commiato della leadership di Enrico Letta. Come possiamo inquadrare il momento? 
«Letta è stato una soluzione dignitosa, ma ben lontana dall’essere in grado di risolvere la crisi esistenziale del Pd. Infatti, la sua segreteria finisce con quello che di fatto è un tecnicismo politico».
Cioè? 
«Nel Pd entra una nuova-vecchia componente, Articolo 1, con un bizantinismo».
Spieghiamo. 
«Si è approvato una specie di mini manifesto, che ha uno scopo: consentire a quelli di articolo 1 di rientrare potendo dire ai loro militanti: “non è lo stesso partito di prima, perché c’è un nuovo manifesto”. Però poi si dichiara che questo manifesto non sostituisce il vecchio e comunque potrà essere cambiato con la nuova assemblea. Insomma, un manifesto dei valori senza valore. Un gran pasticcio. Alla fine, tutto si risolve con il rientro di Bersani e D’Alema nel Pd. Così si chiude l’era Letta. Adesso, con l’elezione del nuovo segretario se ne aprirà un’altra e vedremo».

 

 


 

Il percorso congressuale è sembrato più il confronto tra aspiranti nomenklature che tra visioni del mondo... 
«Il dibattito si è troppo a lungo concentrato esclusivamente su alleanze tra correnti, sul “chi sostiene chi”... Al contrario, un dibattito politico ideale sulle ragioni d’essere del Pd e su cosa fare nell’Italia di oggi non l’ho sentito. Si è invece discusso molto sulla scelta tra votare online o no, sulle primarie da fare una settimana prima o una settimana dopo. Incomprensibile per l’elettorato».
Fuori dal perimetro delle discussioni interne esiste ancora un “popolo del Pd”? 
«Esiste ancora. Si tratta di un partito di massa, che ha un radicamento territoriale diffuso, anche con un suo orgoglio storico».
A quale blocco sociale fa riferimento? 
«È un popolo di lavoratori dipendenti, soprattutto pubblici. Le difficoltà maggiori mi pare ci siano sempre con il cosiddetto “popolo delle partite Iva”, dei piccoli e medi imprenditori».
E il legame con il popolo dei disoccupati? 
«Si è completamente perso il contatto. Così come con il popolo del lavoro manuale, degli operai».
 

 

 

Non è un caso che oggi Landini abbia avviato un’interlocuzione privilegiata con Conte. 
«È chiaro che, oggi, i 5 Stelle di Conte hanno lanciato una grande competizione a sinistra. Hanno fatto una grande cura dimagrante sul piano del consenso, perdendo tutta la componente del populismo di destra che pure c’era e che forse prima è andata alla Lega e adesso a Fratelli d’Italia. Ma hanno lanciato al Pd la sfida per superarlo come vera sinistra italiana. È un’operazione che ha fatto Melenchon in Francia, svuotando il partito socialista.
A testimonianza che anche un grande partito può sparire».
Il “mito fondativo” del Pd è nel discorso del Lingotto di Torino pronunciato da Veltroni nel 2007. Lei, in quell’anno, pubblicava un libro (Oltre il socialismo) che prefigurava la necessità di un partito liberaldemocratico. Il Pd lo è mai stato? 
«No. C’è stata una corrente di questo tipo, minoritaria, che ho sostenuto e che ebbe un ruolo abbastanza centrale nello scrivere le tesi del Lingotto. Veltroni, quando arrivò, trovò solo quel gruppo lì che aveva lavorato e ragionato su come avviare una fase nuova. Purtroppo, oggi gran parte del Pd pensa che l’aver fatto quelle scelte a quel tempo sia la causa delle difficoltà successive. Io invece credo l’esatto contrario, ossia che non aver seguito quelle tesi fino in fondo, annacquandole quasi da subito, o in una democristianeria compromissoria o in qualche rigurgito estremista di sinistra, spiega perché non è nato un partito nuovo».
 

 

 

 

Tema alleanze. Il Pd si salva con il Movimento 5 Stelle o con il Terzo Polo? 
«Non mi pare così centrale questo argomento. Valeva prima del voto alle politiche, ed è successo quel che abbiamo visto. Oggi, che senso ha scervellarsi sulle alleanze? Quando si voterà per il segretario, le regionali già si saranno svolte. Poi il prossimo appuntamento saranno le europee, dove si va con il proporzionale. Continuare a discutere di alleanze significa solo fare un favore al Movimento 5 Stelle o a Calenda. Il Pd deve aprire la partita di cosa vuol fare lui, oggi, domani, in Parlamento e nel Paese».

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