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Roberto Speranza affondato pure da Di Battista: la figuraccia in tv

Salvatore Dama
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«Misero», «conformista», «disastroso». No, probabilmente Roberto Speranza non se l’aspettava. Di finire a fare il bunchball in tv. Quando prende posto nel salotto di Giovanni Floris, si siede comodo. Trasmissione non ostile, quasi amica, dai. Puntata votata a fare il pelo alla Meloni. Rvm con reperti che risalgono al 2013 per dimostrare l’incoerenza della premier. Monologo iniziale di Giuseppe Conte. Che le spara così grosse («Noi gli unici coerenti, il M5s ha approvato l’80 per cento del programma di governo») da avere una reazione allergica: continua a starnutire. È il karma, indubbiamente.

Nel frattempo Speranza accavalla la gamba e trova la posizione. Di solito non è uno che appicca incendi e non ha intenzione di cominciare stasera. Floris gli dà la parola e l’ex ministro della Salute decide di non affondare il colpo. Il suo primo intervento è tipo «non è colpa della Meloni», semmai è un tema che riguarda tutti, quello dello spread tra campagna elettorale e realtà. «Governare è una cosa complicata», «le promesse non si riescono a realizzare», «la premier ne sta pagando il prezzo» e cose così. Senza sugo.

 

 

 

LA FACCIA DI CONTE

È venuto in pace, Speranza. Calcola che dovrà prendere la parola forse un’altra volta sola, poi il suo blocco finisce e potrà tornare a casuccia, non prima di aver inforcato il suo amato dpi. Calcola male, il deputato di Articolo Uno. Perché gli montano addosso in tre. Comincia il direttore di Libero Alessandro Sallusti. Conte è andato via (era in collegamento), Floris gli chiede un commento: «Ha la faccia come il culo!». In studio è rimasto il suo ex ministro della Salute. Ancora Sallusti: «Conte parla di incoerenza? Lui che ha attraversato le alleanze politiche più disparate, da destra a sinistra, uno che ha fatto dei disastri inenarrabili sul Covid insieme al ministro Speranza, senza mascherine, con una campagna vaccinale approssimativa...». «Bah, non mi pare», sussurra in studio il diretto interessato. Ma lascia correre.

Poi tocca ad Alessandro Di Battista afferrargli il polpaccio. All’ex parlamentare grillino non è piaciuta la versione ecumenica speraziana sulle difficoltà del governo: «Mi sembra una logica conformista e autoassolutoria, Speranza ha avuto la possibilità di fare battaglie sul conflitto di interessi tra politica e case farmaceutiche, ma non l’ha fatto».

 

 

 

DISPUTA SUI SOLDI

Ok, ora Roberto accusa il colpo. Se la segna. Quando il giro degli interventi finisce e tocca di nuovo a lui, si leva lo schiaffo da faccia. Ci prova: «Io, da ministro, per tre anni ho fatto tutto quello che ho potuto», pausa, guarda Dibba: «A te, ti hanno pagato per venire qui ad attaccare». Ora si infastidisce anche il conduttore di DiMartedì («Non può dire così») e l’ex grillino frigge sulla sedia: «Quando un deputato viene pagato dai cittadini e, anziché rispondere sul merito, attacca lo stipendio privato di un privato cittadino, ha argomentazioni misere!». Replica: «Sei un personaggio pubblico, sei stato in Parlamento». Controreplica: «E allora? Non devo campare?». Riprende la parola Sallusti. E ricorda che l’ultimo governo che ha aumentato le accise sulla benzina era targato Pd. «È una menzogna!», si agita Speranza. L’incarnato prende un tono di colore. Da grigio a madreperla. «Noi le abbiamo tagliate, le accise!». Arriva la nota dalla redazione. Floris la legge: è stato il governo Letta ad aumentare le tasse sui carburanti, rincaro entrato in vigore durante l’esecutivo Renzi. «Ma io me n’ero andato con Renzi!», si difende Roberto. Non è così. All’epoca c’era ancora. Però magari non se lo ricorda. Niente, non è serata. Finisce il blocco, Speranza lascia la poltrona a Piercamillo Davigo. Pubblicità. 

 

 

 

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