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Meloni-Zelensky, "nazione e patria": le due parole su cui nasce l'intesa

Fausto Carioti
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A lungo la politica estera italiana è stata sinonimo di ambiguità e inaffidabilità. Etichette non sempre meritate, ma in molti casi sì. Come se i governi di Roma, qualunque fosse il loro colore, soffrissero di un perenne complesso d’inferiorità internazionale, o eccesso di realismo, che li costringeva a cercare rifugio nelle mezze misure e negli interstizi, lasciando agli altri oneri e onori del grande gioco. Qualunque cosa si pensi della guerra in Ucraina e su quale sia la risposta migliore da dare a Vladimir Putin, da ieri nessuno può più dire che l’Italia tira indietro la gamba.

Giorgia Meloni è arrivata a Kiev per segnare una discontinuità storica: «L’Italia non intende tentennare e non lo farà». Il suo linguaggio si dimostra distantissimo dalle alchimie e dai silenzi dei Macron e degli Scholz. In parte questo è dovuto a ragioni d’interesse. Le equivocità altrui hanno lasciato scoperto uno spazio che lei è corsa ad occupare.

Essere accanto all’Ucraina con tanta nettezza significa infatti alzare il profilo politico internazionale dello Stato e di chi lo guida. La riposta migliore a chi pensava che l’Italia, dopo Mario Draghi, non potesse esprimere un altro premier capace di posizioni forti. Volodymyr Zelensky glielo riconosce in pubblico: è la «leadership» della Meloni che permette all’Ucraina di ottenere «sistemi di difesa antiaerea importantissimi», dotati di «tecnologie di avanguardia».
Crediti da spendere ai futuri tavoli delle trattative, in sede Ue e Nato.

 

Supportare Kiev «con ogni possibile assistenza» significa anche candidarsi ad avere un posto in prima fila nel grande business della ricostruzione. La Meloni non lo nasconde: «C’è un know how che le imprese italiane possono offrire, lo metteremo a disposizione perché nella ricostruzione l’Italia vuole giocare un ruolo da protagonista». In serata, il governo di Kiev conferma che l’intesa è pronta.

ATLANTISMO DI DESTRA
I guadagni politici ed economici, però, spiegano solo in parte la scelta. A spingere la presidente del consiglio è anche la molla degli ideali. I suoi, beninteso: non quelli, spesso ambigui, di tanti altri leader. «Tutti vogliamo la pace, ma dobbiamo intenderci su cosa “pace” sia», avverte la Meloni. E la pace che l’Italia vuole per l’Ucraina è quella per cui occorrono le armi e che si può ottenere solo «ribadendo che la comunità internazionale non accetta l’invasione di Stati sovrani e l’intenzione di ridisegnare i confini». Il messaggio, se non si fosse capito, è per Emmanuel Macron e gli altri che sperano di sfamare Putin dandogli in pasto pezzi di Ucraina. Le parole chiave del discorso della Meloni sono altre, e le trova facilmente perché le prende dal vocabolario della destra che rappresenta. 

 

«Nazione», innanzitutto. Parola che nell’Europa progressista sembrava obsoleta e molti volevano cancellare dai dizionari: le nazioni portano alla guerra. Ma l’idea di nazione, ha detto la premier dinanzi a Zelensky, è proprio ciò che ha fermato Putin. «L’Ucraina mi ha ricordato la nascita dello Stato italiano: c’era un tempo in cui si diceva che l’Italia fosse solo un’espressione geografica. Ma col Risorgimento ha dimostrato di essere una nazione». «Patria», altro vocabolo che per decenni è stato fuori dai radar della politica e in Ucraina sta facendo la differenza: «L’amor di patria è qualcosa che nasce spontaneamente e non puoi fermare, noi dobbiamo ricordarci che le nazioni si fondano sulla dimensione dei sacrifici che si è disposti a compiere insieme». E quindi il «popolo», inteso come comunità unita da valori e tradizioni. 

«Qualcuno ha sottovalutato l’eroica reazione di un popolo disposto a fare tutto ciò che va fatto per difendere la sua libertà, la sua sovranità e la sua identità». Così la migliore sponda che Zelensky e il democratico Joe Biden hanno oggi in Europa è una premier che non viene dall’atlantismo di sinistra e dal progetto del grande Ulivo mondiale, o ciò che ne resta, ma dalla parte opposta: quella del conservatorismo, dell’identità nazionale e dei confini che la difendono. Segno che le cose, dopo essere cambiate in Italia, stanno cambiando nel continente.

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