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Pd, compagni incapaci: l'idea dei progressisti per la società è destinata a pochi

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Iuri Maria Prado
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Una delle spiegazioni, forse la principale, dell’incapacità di sinistra di farsi veramente e compiutamente nazionale, davvero capace di rappresentare una quota maggioritaria del Paese, sta nell’idea che compito dell’azione politica non sia di promuovere evoluzioni e cambiamenti delle cose che non piacciono, ma di rinnegarne l’esistenza e di sostituirle a forza con quelle che invece si inquadrano bene in una certa “idea di società”: che tanto per intenderci è quella della Repubblica Bella Ciao.

Non si tratta di essere antifascisti per convincimento: ma per legge. Ed essere antifascisti non significa ripudiare la violenza politica, la discriminazione razzista, il confessionalismo retrogrado e illiberale: significa uniformarsi agli slogan e alle pratiche dell’antifascismo conformista, comunista, anticapitalista, poverista e fondamentalmente antidemocratico che ha scritto la storia ammissibile di questo Paese e appunto ha reso clandestina e indicibile qualsiasi storia diversa, innanzitutto quella che destituiva di verità il verbo dell’antifascismo imbandierato di rosso. Per capirsi: la storia del Paese che non intitolava vie e piazze pubbliche a Churchill e Roosevelt, ma a Lenin e a Stalin.

La storia del Paese in cui devi essere un avventuroso ricercatore universitario per trovare il nome di Golda Meir, mentre da quando hai cinque anni i professori democratici ti raccontano con gli occhi inumiditi le gesta del generale Che Guevara.

Non si tratta di essere tolleranti e persino friendly verso le scelte di vita, affettive e sessuali di chicchessia, ma di gridare che il Paese resta affondato nella barbarie se non approva le leggi contro l’odio che mandano in galera chi contravviene ai canoni della Repubblica-Arcobaleno.

SISTEMA DI DIRITTO
Non si tratta di desiderare e difendere un sistema di diritto fondato laicamente sulla legge uguale per tutti, ma di giurare fedeltà alla religione dello Stato incartata nella Costituzione adibita a totem progressista. Il Paese che non si subordina a quei precetti, che non aderisce a quella rappresentazione, che non assume in modo naturale quella postura, che non coltiva quelle ambizioni, non costituisce una realtà da comprendere, ma uno sbaglio sociologico, un’aberrazione del dover essere democratico, insomma un’irregolarità da correggere e rieducare, se possibile, e altrimenti da denigrare e da estromettere dal circuito delle cose presentabili. Finché sarà così, la cultura di questa sinistra potrà imporsi, ma non farsi patrimonio comune.

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