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Anticorruzione, le dichiarazioni fuori luogo del presidente: non si può fermare il sistema

Iuri Maria Prado
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Che cosa c’è di sbagliato nelle dichiarazioni del presidente dell’Anticorruzione a proposito del nuovo codice degli appalti? C’è di sbagliato che non doveva farle. Tra i tanti guai italiani, infatti, questo è grosso come una casa: l’idea che il problema dell’intromissione dell’illecito nelle cose dell’economia si risolva con un’altra specie di intromissione, quella giudiziaria e amministrativa. Un’intromissione che turba in modo spesso anche più grave l’affidamento e l’andamento dei lavori, oltretutto con pochissima garanzia che essi siano posti al riparo dal pericolo di quelle violazioni. 

Un cantiere avviato sulla base di una corruzione è cosa pessima, ma la legalità con cui se ne sequestra un altro costituisce per l’economia pubblica un danno anche più grave. Il blocco di una fornitura in ottemperante al mare di regole che dovrebbe garantirne la perfezione arresta il corso di un illecito, ma non arricchisce il circuito economico: lo impoverisce. L’annullamento della gara condotta in elusione delle regole di concorrenza interrompe un’alterazione di mercato, ma insterilisce il campo su cui avrebbe insistito, per quanto irregolarmente, quell’iniziativa.

 

Tutto questo vuol dire che bisogna lasciar correre l’illecito come costo inevitabile di un’economia altrimenti ferma? No, ovviamente. Ma vuol dire che non si ha nessuna garanzia, anzi si ha prova del contrario, che le cose vadano meglio asfissiando il sistema con l’obiettivo di evitare che l’appalto vada al cugino. Poi l’Anticorruzione faccia il suo, per carità (e il suo non è contestare l’attività di governo). Ma sul ritardoitaliano giganteggia la colpa di un’impostazione commissariale dell’economia, un’impostazione per cuiilmercato e la concorrenza si esaltano e si proteggono incartandosi in una sterminata enciclopedia di regole paradisiache poste a presidio di un inferno di opere ferme.

 

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