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Via Rasella, quello che i tecnocrati rossi non vogliono che si dica

Iuri Maria Prado
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Il fatto che una frase discutibile del presidente del Senato scateni un simile pandemonio ha molto poco a che fare con i precetti di compostezza istituzionale cui si fa appello per censurare le parole di Ignazio La Russa. La realtà è che non gli si imputa di averla detta sbagliata su via Rasella, ma di aver bestemmiato il decalogo degli interdetti repubblicani: un reato molto più grave, nella teocrazia da 25 aprile, rispetto allo sproloquio sui pensionati di quel convoglio nazista. La regola, impassibile di emendamento, è che le vittime delle Fosse Ardeatine fossero antifasciste, e non serve a codificare un fatto storico che non esiste (che già sarebbe grave), ma a connotare di fascismo quella atroce rappresaglia: fascista perché infieriva su antifascisti, non perché faceva strage di innocenti. E ugualmente, per converso, le vittime dell’attentato partigiano, sulla cui identità è vietato indugiare perché, a prescindere dall’infelicissima uscita di La Russa, non erano i componenti di una colonna militare: erano “il nazismo”.

 

Le parole del presidente del Senato non si potevano dire non già perché il re era vestito anziché nudo, bensì perché il re non può essere nudo. Per la stessa ragione, non si può dire che la democrazia italiana in realtà non è nata dalla resistenza perlopiù comunista, ma nonostante la resistenza perlopiù comunista: che non avrebbe voluto nessuna democrazia. Non si può dire che proprio la prevalenza comunista nei ranghi della resistenza ha reso meno liberale e meno democratico il corso repubblicano, meno liberale e meno democratica la Costituzione imposta a presidiarlo. Non si può dire che una quota notevole dell’eredità fascista si è trasmessa al presunto opposto, all’antifascismo statalista e autoritario che nell’avvicendamento di potere ha assunto, non cambiato, molti tratti antidemocratici del regime precedente.

 

Non si può dire che a sua volta questo processo di reiterazione si deve perlopiù al contributo della parte politica, la parte comunista, che ha fatto del 25 aprile la festa meno sentita dagli italiani, i quali magari solo oscuramente, ma con forza, hanno sempre avvertito il carattere ambiguo di quelle celebrazioni: che trionfavano in adunate e in retoriche sinistramente simili, per quanto diversamente colorate, rispetto a quelle incamiciate di nero. Il vocabolario di La Russa è adoperato male, ma la grammatica antifascista cui contravviene è anche più diseducativa. 

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