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Elly Schlein, perché il suo Pd non rispetta le istituzioni

Pietro Senaldi
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Forse pure questa gliel’avrà consigliata l’armocromista, l’esperta che suggerisce a Elly Schlein il colore dei vestiti da mettere per meglio intonarsi con l’ambiente. Anche grazie a questa signora, pagata 300 euro l’ora, ma che con la segretaria del Pd ha trattato un forfait più proletario, la leader è potuta “arrivare senza farsi vedere”, come si è vantata lei stessa, mimetizzandosi tra il rosso scolorito del partito. Abbiamo saputo dall’esperta che Elly è donna inverno. Siccome siamo in primavera inoltrata, non è più la sua stagione e quindi ha deciso di migrare, se stessa e il suo partito, dal Parlamento all’Aventino.

Già, questa è la nuova strategia della capa dei dem: l’opposizione non si fa più in Aula bensì uscendo. Un po’ è perché la capacità dialettica difetta, visto che circolano video ormai cult dei discorsi di Elly dove più parla e meno si capisce. Un po’ perché il 25 aprile è passato, al prossimo manca un anno e bisogna trovare un altro modo per dire che la maggioranza è fascista. Quale allora migliore trovata che ritirarsi dalle Camere come fecero i deputati nel 1924 per protestare contro il regime fascista dopo l’assassinio di Matteotti? Anche se stavolta di morti non ce ne sono e si registra solo il tentativo di suicidio dei dem.

 

SFIDA INTERNA
Tre volte il Pd è uscito dall’Aula ieri. Quando si votava il Def e quando si votavano i membri laici dei Consigli di presidenza della Giustizia Amministrativa, della Corte dei Conti e della Giustizia Tributaria. Non che sia mancata la democrazia, la protesta del Pd è dovuta al fatto che gli sono mancate le poltrone sperate, alcune delle quali andate a M5S, amico a parole ma solo per rubargli i voti, perché in realtà la vera competizione della Schlein è con Conte. La signora neppure prova a fare un piano strategico per andare al governo, come invece fece la Meloni quando era solo al 6%. Il suo obiettivo è tenere dietro i grillini e vincere la stracittadina della serie B della politica. E infatti, ancora più che con la maggioranza, i parlamentari dem se la sono presa con i colleghi del Terzo Polo- continuiamo a chiamarlo così anche se non lo è mai stato - e con i pentastellati, accusati di essere lingua in bocca con il nuovo potere e di “farci gli accordi”. 

 

Tutto è legittimo, per carità, ma c’è qualcosa non solo di farsesco e volgare in questa linea comportamentale dettata dalla Schlein, che evoca la tragedia di Matteotti per piangere su un paio di poltrone che i colleghi-rivali dell’opposizione sono riusciti a garantirsi al posto suo. C’è qualcosa anche di vagamente sovversivo in un comportamento che per l’ennesima volta dimostra come la sinistra abbia rispetto per le istituzioni solo quando c’è un suo esponente a rappresentarle. Se non si ha la maggioranza, il Parlamento non vale niente e disertarlo è un atto politico, è il messaggio che i dem vogliono dare ai cittadini. Provino a pensare per un secondo che per l’opposizione non rispettare il governo e il luogo dove questo raccoglie la propria legittimità significa alla fine non rispettare la volontà degli elettori manifestatasi attraverso un voto. D’altronde la pratica non è nuova, è stata esercitata per un decennio da governi legittimati dai meccanismi costituzionali ma non dal responso popolare. Quello di ieri è solo un piccolo passetto in più. 

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