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Centrodestra, il nodo della leadership: serve un grande partito conservatore

Francesco Carella
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Fra i tanti nodi che l’attuale leadership politica del centrodestra dovrà cercare di sciogliere nei prossimi mesi ve ne sarà uno assai più intricato di altri e che riguarda la possibilità di costruire anche in Italia un partito conservatore al pari delle esperienze di altre democrazie occidentali. La qual cosa non è mai avvenuta nel nostro Paese per ragioni storicamente note e già lucidamente descritte nel 1882 da un uomo politico lungimirante quale Ruggiero Bonghi, quando scriveva che «il partito liberale ha avuto un fine solo: quello di costituire l’Italia. Nel portare a compimento tale processo non vi è stata alcuna attenzione per i diritti acquisiti, per gli interessi legittimi, perla coscienza religiosa della cittadinanza». Talché sono finiti in second’ordine quei valori che forniscono la bussola di riferimento di un autentico partito conservatore.

Si tratta di “stimmate” che segnano la formazione delle nostre classi dirigenti a tal punto che a percorrere a ritroso oltre un secolo e mezzo di storia unitaria risulta difficile imbattersi in un ceto politico moderato che non viva con imbarazzo l’etichetta di conservatore. L’assenza di un partito di questo tipo ha avuto alcune conseguenze negative a partire da un certo disagio nell’assumere, ogniqualvolta se n’è presentata la necessità, la difesa dell’identità culturale e religiosa del Paese. In tal senso, siamo ancora oggi lontani, come dimostra l’atteggiamento demagogico della sinistra rispetto al problema dell’immigrazione incontrollata, dal condividere un paradigma della modernità ovvero che uno «Stato senza la nazione non ha alcuna ragione di esistere».

 

TEMPI MATURI

Posto che i tempi siano ormai maturi per avviare una opera di rivalutazione delle idee conservatrici vale la pena di ricordare che essa non può che avvenire attraverso il rilancio, senza complessi d’inferiorità, dei princìpi cardine del liberalismo. Tanto più alla vigilia di un disegno politico di respiro europeo a cui la destra italiana sta lavorando e che ha come obiettivo l’incontro fra la famiglia popolare e quella conservatrice. Si tratta di mettere in cantiere una lunga e difficile opera di egemonia politico-culturale che punti a diffondere un sistema di anticorpi per neutralizzare le false narrazioni della sinistra.
Occorre fare chiarezza almeno su alcuni concetti chiave come sovranità, mercato e solidarietà. Nel primo caso, alle scemenze di chi presenta il sovranismo come anticamera dell’autoritarismo, è sufficiente ricordare con il filosofo liberale Benjamin Constant che «là dove vi è uno Stato non può che esserci sovranità e che essa trova la giusta espressione nella centralità della legge e dello Stato costituzionale». Mentre ai detrattori del mercato rispose già nei primi anni ’50 Don Luigi Sturzo quando osservava che «abbiamo in Italia una triste eredità che è diventata catena al piede della nostra economia, lo statalismo sciupone assediato da parassiti furbi e applaudito da quei sindacalisti senza criterio che credono che il tesoro dello Stato sia come la botte di S. Girolamo dove il vino non finisce mai».
Si riuscirà mai a compiere una rivoluzione di tale fattura? Qualora andasse in porto a trarne vantaggio sarebbe l’intero sistema politico italiano a partire dalla stessa sinistra se è vero - come sostengono alcuni storici - che «nell’assenza di un vero partito conservatore risiede la ragione principale della mancata formazione di una sinistra riformatrice».

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