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Pd, chi si ribella a Elly Schlein: "Sì alla riforma Meloni"

Elly Schlein

Elisa Calessi
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A quasi una settimana, ormai, dall’incontro tra Elly Schlein e Giorgia Meloni sulle riforme costituzionali, nel quale la segretaria dem aveva detto no a qualunque scenario che preveda una elezione diretta (del presidente della Repubblica o del premier), nel Pd affiorano i primi distinguo. Presenti da subito, ma fin qui confinati a chat private. Il fatto è che, come aveva ricordato il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex parlamentare Pd, la prima tesi dell’Ulivo parlava proprio di «governo del primo ministro», indicando la necessità di una indicazione del premier già nella scheda elettorale. E di puntare a una democrazia «decidente» parlava, senza timori, il Pd del Lingotto.

 


Non a caso a rompere l’unanimità, rispetto alla posizione annunciata da Elly Schlein, è stato un ulivista della prima ora e veltroniano doc, come Roberto Morassut (che pure al congresso aveva sostenuto Schlein). «L’elezione diretta del capo del governo», si chiedeva ieri, «è davvero così pericolosa e inquietante? In Italia la democrazia è stanca e il parlamentarismo infiacchito. Governi che vivono di decreti e fiducie e un Parlamento che discute di quasi nulla, con equilibri perennemente instabili». Invitava, quindi, a «trovare la strada di una democrazia più efficiente e decidente con i giusti contrappesi parlamentari. Credo che il Pd», concludeva, «debba porsi questo nodo irrisolto da decenni, e che non sia giusto chiudersi nella difesa di scuola dell’esistente». Parole colte al volo da un’altra veltroniana degli inizi, Marianna Madia: «Leggo una dichiarazione di Morassut sull’elezione diretta del premier. Il tema è complesso e articolato. Ma un luogo per discuterne nel Pd?», si chiedeva su Twitter.


TUTTI CONTRO CALDEROLI
Per il momento, però, la linea del Nazareno è un’altra. E le parole di Roberto Calderoli sul «governatore d’Italia» non hanno aiutato. Dal confronto con il governo sulle riforme, osservava ieri Chiara Braga, capogruppo del Pd alla Camera, «arriva la conferma di quello che pensavamo, che fosse il tentativo di spostare il dibattito da temi centrali nella vita dei cittadini, dal lavoro alla sanità. Poi c’è una certa confusione, da un lato si dice che si vuole affrontare il dibattito, dall’altro si dice che in ogni caso si andrà avanti». Certo, «noi non ci sottrarremo al confronto», ma a patto «sia confronto vero». Contro Calderoli, ieri, si è lanciato anche Dario Parrini, vicepresidente del Pd in commissione Affari costituzionali del Senato. «Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Viene da pensarlo leggendo che il ministro Calderoli propone di temperare l’elezione diretta del presidente del consiglio nientemeno che con un’altra trovata sconosciuta nel mondo intero, cioè l’istituto che lui chiama della “fiducia costruttiva”.

 

 

La quale significa in soldoni: teoricamente si conserva al Parlamento uno dei suoi poteri più decisivi, il potere di sostituire il capo del governo. Ma è una rassicurazione ingannevole, perché in realtà si rende impossibile l’esercizio di questo potere sottoponendolo a condizioni estreme e quasi impossibili». Nel tardo pomeriggio provava a ricomporre la tela di Elly Alessandro Alfieri, responsabile riforme e componente di Base Riformista: «Sulle riforme stiamo andando per step: ci siamo confrontati in direzione e sono state convocate le commissioni» prima dell’incontro con la premier ed «è evidente che nel momento in sui si capisce se stanno facendo sul serio o no ci sarà occasione anche per parlare e confrontarci in direzione e segreteria». Insomma, si vedrà.

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