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Elly Schlein, spunta la fronda che la può travolgere: ecco quando

Elisa Calessi
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Lombardia contro Emilia. Nel mondo del Pd, c’è chi si diverte a leggere quello che si sta muovendo sopra il Po anche in chiave geografica. O campanilistica. Sì perché sembra proprio una risposta all’«occupazione emiliana» del Pd che, da due mesi, si è consumata (con malcelata insofferenza di molti romani e non solo). Segretaria, presidente, segretario organizzativo e responsabile enti locali, altri membri della segreteria: tutti emiliani. Quello che sta nascendo in zona prealpina, dunque, potrebbe essere un argine, si dice, al dilagare dell’emilianità.

 

 

 

Campanilismo a parte, prenderà le mosse dalla Lombardia, dal cattolicesimo e dal riformismo di quelle terre, il tentativo di rimettere insieme i cocci di un’area riformista nel Pd, in crescente sofferenza dalla vittoria di Elly Schlein alle primarie. Qualcosa che vada oltre Base Riformista, ormai coinvolta nella gestione unitaria del partito, agganciando gli ex popolari di Pierluigi Castagnetti, che hanno vissuto con malessere alcune posizioni della nuova segretaria, e una miriade di sindaci e amministratori che al congresso hanno sostenuto Stefano Bonaccini, ma ora si sentono senza una guida. Il governatore emiliano, infatti, ha messo subito in chiaro, dopo le primarie, di non voler organizzare correnti. E così ha fatto, accettando prima il ruolo di presidente, quindi di far entrare i suoi negli organismi dirigenti del partito. Atto di lealtà, ma che ha anche portato a indebolire la voce di chi, su tanti temi, non la pensa come Schlein.

L’esigenza, però, di farsi sentire, di “marcare un’area” c’è. Come spiega Stefano Ceccanti, «Bonaccini ha giustamente altre priorità, tanto più oggi, glielo chiedono i cittadini che governa. E, tuttavia, bisogna dare spazio a chi non condivide l’impostazione di Schlein». Ne hanno dato voce, l’altro giorno, proprio Stefano Ceccanti, Enrico Morando e Giorgio Tonini, in un intervento pubblicato su Repubblica, che è passato di chat in chat tra idem. E che molti hanno accolto come una boccata d’ossigeno. I tre riformisti hanno messo fila tutti i temi su cui servirebbe far sentire una voce differente. Ma hanno spiegato che la battaglia va fatta dentro il Pd: no, quindi, a scissioni o a abbandoni. Ma chi guiderà l’iniziativa politica?

 

 

 

In terra lombarda, in particolare tra Brescia e Bergamo, queste riflessioni si fanno da settimane. Anche per evitare che si consumi un lento esodo dal Pd. E il nome attorno cui si stanno riorganizzando le forze è quello di Emilio Delbono. Pupillo di Mino Martinazzoli, bresciano come lui, (nel 1994, ventenne, diventa il primo segretario provinciale del Ppi), è stato parlamentare dell’Ulivo e della Margherita per tre legislature. Nel 2013, poi, è tornato nella sua città, Brescia, dove è stato eletto sindaco e rieletto 5 anni dopo. E portala sua firma anche la vittoria di Laura Castelletti a Brescia (sua vice). Delbono è molto legato a Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, altro riformista doc del Pd, di cui, prima della discesa in campo di Bonaccini, si era parlato come possibile candidato alla segreteria dem. Nella rete che sta tessendo Delbono, ora consigliere regionale, c’è, poi, Beppe Sala, sindaco di Milano dal profilo nettamente riformista e che non ha fin qui preso la tessera del Pd e c’è anche Mattia Palazzi, sindaco di Mantova. A Delbono, poi, guarda un mondo di associazioni che in quelle zone è ancora molto forte e che è stato decisivo nella vittoria di Castelletti. Ovviamente l’attivismo lombardo incrocia Base Riformista, peraltro guidata da un altro lombardo doc, Lorenzo Guerini (vecchia conoscenza di Delbono), che dà segni di insofferenza rispetto al nuovo corso. Fin qui, però, si è mosso con molta prudenza. 

 

 

 

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