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Elly Schlein campionessa di balle: l'ultima sparata su Giorgia Meloni

Giovanni Sallusti
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Elly Schlein è il trionfo del relativismo, del rapporto disinvolto (“fluido”, direbbe lei da buona attivista Lgbtq) con la verità, fondamentalmente della propaganda degenerata in cazzeggio a sua volta deflagrato nella balla esplicita. Si potrebbe dire che la segretaria riprende l’antica lezione del sofista Protagora, apportando un’unica, decisiva modifica: «L’utilità del Pd - invece che l’uomo, ndr- è misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono, e di quelle che non sono per ciò che non sono». Parziale campionario che illustra l’evanescente legame con la realtà di Elly (già messo a dura prova dalle sedute con l’armocromista). Pochi giorni fa, provando goffamente a cavalcare la protesta degli studenti in tenda (che non a caso non sono caduti nella circonvenzione e l’hanno sbalzata di sella): «Il Pd continuerà a spingere per convincere il governo a tornare indietro sull’errore madornale che ha fatto cancellando il fondo per gli affitti, 330 milioni di euro».

 

 

Per quanto abbia ripetuto l’accusa in un’intervista a La Stampa e in parecchi eventi elettorali, qui di madornale c’è solamente il suo scivolone. E non lo diciamo noi bavosi reazionari di Libero, bensì il sito Pagella Politica, che ha dimostrato come il suddetto fondo, istituito nel 1998, non era stato rifinanziato già in cinque occasioni: «Nel 2012 durante il governo Monti, nel 2013 durante il governo Letta, nel 2016 durante il governo Renzi, nel 2017 e nel 2018, a cavallo tra il governo Gentiloni e il primo governo Conte». Tolto quest’ultimo, tutti esecutivi sostenuti dal Pd, alcuni addirittura presieduti da segretari o leader di primo piano del partito. Non solo: «Il mancato rifinanziamento del fondo nel 2023 era stato comunque previsto sia dal secondo governo Conte sia dal governo Draghi». Entrambi appoggiati anche da quel gruppo parlamentare collocato nell’emiciclo sinistro, come si chiama... Esatto, dal Pd! Ma soprattutto, nessuno ha cancellato alcunché. Piuttosto, «il governo Meloni - in analogia con cinque precedenti, di cui quattro riguardano il partito di Elly, ndr- non ha stanziato risorse per il fondo per gli affitti, che comunque continua a esistere».

 

 

Capite che c’è un lievissimo fossato tra il mondo e la sua rappresentazione schleiniana, che solo lo scodinzolamento del mainstream ai piedi di quella Elly che «ruota l’asse cartesiano della realtà» (l’ha scritto davvero Concita De Gregorio su Repubblica) ha evitato risaltasse in tutta la sua dimensione. Ancora: no Elly, non è vero che per il sacrosanto sostegno alla Romagna devastata dall’alluvione si possano usare fondi attinti dal Pnrr, come vai dichiarando a ogni microfono ti capiti a tiro nel raggio di un chilometro (forse per far dimenticare che da vicepresidente della Regione avevi anche la delega al “coordinamento inter-assessorile delle politiche di prevenzione”, ma da queste parti siam maliziosi). Te lo hanno spiegato in questi giorni la premier Meloni, il ministro Salvini, il ministro Fitto: i finanziamenti del Piano europeo, compreso quelli per contrastare il dissesto idrogeologico, vertono su progetti specifici già concordati e hanno un termine di spesa nel giugno 2026. Rinegoziarli aprirebbe un confronto interminabile con l’Euroburocrazia, un esercizio bizantino grottesco di fronte alla tragedia delle famiglie e delle aziende romagnole, che divampa qui e ora. Peraltro, l’immodificabilità del Pnrr è stato un mantra piddino fino a ieri mattina, a dimostrazione che per Elly e la sua nouvelle vague tutto può istantaneamente capovolgersi nel suo contrario, non ci sono più tesi, ma schizzi di giornata sulla tela arcobaleno.


DADAISMO
Ma la vetta del suo dadaismo metodologico Elly l’ha toccata (per ora) a proposito di quel che è andato in scena al Salone del libro. Per qualunque cronista senziente dotato di vista e di udito, una cagna squadrista che ha proibito al ministro Roccella di presentare il proprio libro e le proprie idee (ovvero di esercitare il fondamentale diritto alla manifestazione del pensiero previsto all’articolo 21 della Costituzione, la stessa che Elly brandisce contro i manganellatori di ieri, mentre coccola i manganellatori di oggi). Ennò, è proprio dove la situazione appare scontata che interviene il genio. Quel geniaccio avanguardista di Elly, allora, la sera stessa dell’obbrobrio va in tivù e (stra)parla di «governo autoritario» che «ha un problema col dissenso». Ora, non sappiamo il lettore, ma noi non abbiamo mai avuto notizia di un regime “autoritario” in cui a un membro del governo venga impedito di parlare, e addirittura costui sia di fatto cacciato da un evento pubblico. Diciamo che il fascismo meloniano che turba i sonni di Elly è alquanto fiacco, perlomeno. Ma lei lo sa benissimo, semplicemente con questa catena di balle sesquipedali sta attuando una pratica vecchia come l’umanità. I sociologi di grido la chiamano post-verità, a noi pare più prosaicamente una presa per il deretano. 

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