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Prodi e Papa Francesco? Ecco il loro saluto romano: sinistra beffata

Francesco Storace
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Moriranno pazzi. A sinistra sognano la sostituzione della mano nell’uomo: o entrambe sinistre, oppure tutti monchi. Perché non appena ti azzardi a levare all’insù quella destra si scatenano: immancabile Michela Murgia, irrefrenabile Roberto Saviano, indomabile Corrado Formigli, illeggibile Massimo Giannini, indigeribile Maurizio Molinari.
È parte della compagnia di giro che sguinzaglia cronisti a caccia di alalà. E quando non ne trova li inventa. È capitato persino al povero rieletto sindaco di Anagni, in Ciociaria – chissà se travolto dalla memoria del conterraneo Rodolfo Graziani – messo in croce proprio da Formigli. A Daniele Natalia lo hanno immortalato con una Var de’ noantri per “dimostrare” il fascistissimo saluto romano. Che invece era un abbraccio alla piazza nell’ultimo comizio elettorale (coinciso con la vittoria del sindaco). La sua città ha risposto me ne frego a Formigli.

 

 

Tralasciandole braccia alzate in maniera sospettosa che emergono da immagini di Nicola Zingaretti ed Elly Schlein, per anni un saluto quasi perfetto dal punto di vista storico ha rappresentato croce e delizia per Renata Polverini, governatrice del Lazio dal 2010 al 2013, epperò antifascista conclamata. Il più furbo di tutti è stato Ignazio La Russa, abilissimo nel sostituirlo con la V di vittoria al passaggio della parata del 2 giugno. Ma ha scandalizzato l’universo rosso l’associazione di quel gesto al “Decima!” urlato dai militari che sfilavano come succede da tantissimi anni. Ma governava la sinistra e in tribuna autorità magari si poltriva.

 

 

 

FINI A MOSCA...

Fioccano le immagini di saluti romani a qualche funerale: un atto di omaggio spacciato per adunata di nostalgici, persino nel momento del trapasso. Eppure, c’è chi ha dimenticato i pugni chiusi in morte del brigatista Prospero Gallinari con tanto di canto dell’Internazionale o più semplicemente le mani in tasca del presidente della Camera Roberto Fico durante l’Inno di Mameli in omaggio a Giovanni Falcone, a Palermo. Quando i giornaloni rossi sono a corto di notizie ordinano ai loro inviati di cercare i gruppi più inclini al gesto tanto inviso. E le fotografie certo non mancano per far contenti direttori ed editori.

 

 

 

Ci hanno montato su persino una campagna elettorale per demonizzare la destra: è finita col trionfo della Meloni, la principale accusata. Insomma, al popolo italiano davvero questa storiella non possono raccontarla più. Il fascismo non è alle porte, né fuori della finestra. Mi disse un importantissimo personaggio delle istituzioni, che non voglio citare per evitargli un ulteriore linciaggio: «Io il saluto romano non lo vieterei affatto», e sono sicuro «che smetterebbero di farlo». Perché i divieti si violano più volentieri, insomma. Una volta beccai Gianfranco Fini a fare il pugno chiuso, invece. Eravamo con le rispettive famiglie a due passi dalla Piazza Rossa di Mosca, in vacanza agostana. Ci imbattemmo in un gazebo – allora si chiamavano giornali parlati – di nostalgici del comunismo staliniano. Non eravamo graditi non perché riconosciuti, ma perché vestiti all’occidentale, in bermuda. Al loro capo, all’orecchio confidai che eravamo comunisti italiani e ne fu felice, e ci “consentì” la fotografia, il selfie dei tempi andati, Fini mostrò il pugno chiuso: ma era solo uno sfottò. Non se ne sarebbero mai accorti e chissà che fine ha fatto quella foto... 

 

 

 

 

 

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