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Silvio Berlusconi, addio all'uomo che ha conquistato e rivoluzionato l'Italia

Claudio Brigliadori
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Cosa è stato Silvio Berlusconi? L'imprenditore immobiliare? L'editore televisivo? Il presidente di calcio? Il premier e leader di partito? Quando è nato Silvio Berlusconi? Il 29 settembre del 1936, da papà Luigi e mamma Rosa? Negli anni 50, quando giovanissimo si esibiva sulle navi da crociera con l'amico Fedele Confalonieri? Negli anni Sessanta, quando inizia ad acquistare terreni a Milano e Provincia? Oppure negli anni Settanta, quando diventa Cavaliere, inizia a interessarsi alle tv sfidando il monopolio Rai? C'è chi dice che il nome "Berlusconi" sia diventato marchio di successo universalmente riconosciuto sono nel febbraio del 1986, quando acquista il Milan. Altri preferiscono pensare al gennaio 1994, la discesa in campo, l'inizio della sua ultima grande avventura, quella politica. Alla domanda "chi sia stato Silvio Berlusconi", ogni italiano darebbe forse una risposta diversa. "Uno", "centomila". Di sicuro, mai "nessuno".

 

DALLA GUERRA A BREL

L'infanzia e l'adolescenza di Silvio sono avvolte nel mito. "Ero un bambino da guerra nel senso che la mia famiglia era stata costretta a trasferirsi in campagna per via dei bombardamenti", ha ripetuto più volte. L'ultima poche settimane fa, in via privata, polemizzando con una infelice battuta su di lui del presidente ucraino Zelensky. La famiglia era della medio-borghesia milanese, il papà era fuggito in Svizzera per sottrarsi ai nazisti. "A otto anni imparai anche a mungere le mucche e come ricompensa mi dava del formaggio", ha rivelato nel 2017 al Maurizio Costanzo Show. Fa subito i conti con l'odio politico quando a 12 anni, nel 1948 viene picchiato mentre attacca sui muri per strada i manifesti per la Democrazia cristiana insieme a qualche compagno di liceo. "C'era un manifesto di un'efficacia straordinaria che diceva così: 'Nella cabina elettorale Dio ti vede'. Una volta mentre ero sulla scala sono arrivati cinque ragazzotti che attaccavano invece i manifesti del Partito comunista italiano. I miei amici se la sono data a gambe. Questi mi dicono: 'Vieni giù che dobbiamo dirti qualcosa'. Poi mi malmenano, mi fanno uscire il sangue dalla faccia. Io sgomito, riesco a svincolarmi e corro, sono sempre stato un grande velocista". La voglia di tirar su qualche lira lo porta a cantare, ispirandosi agli chansonnier di gran voga nei '50, Aznavour e Brel su tutti. "Suonavo sulle navi da crociere ed improvvisavo canzoni sulle singole persone. Mi è sempre piaciuto trovare le rime giuste". Con lui l'amico Fidel Confalonieri: "Facevamo della serata al ristorante La Pantera (a 400 lire) fin quando non mi licenziò e il locale chiuse quasi subito perché le ragazze non venivano più. Cantavo anche in un night club fin quando mio padre mi tirò le orecchie mi disse che non potevo fare il cantante per tutta la vita".

 

MATTONE E' POTERE

"Fu un gesto di coraggio e di fiducia, volevo realizzare delle città giardino con strade sicure per i bambini e aree verdi. Pensavano che fossi matto e mi guardavano tutti in modo strano". Riassumeva così Berlusconi la sua storia di imprenditore immobiliare, iniziata nel 1961 e legata per sempre al "sogno" di Milano 2. Il primo impero finanziario si chiama Edilnord e traghetta il giovane brianzolo fino ai palazzi che contano di Milano e Roma, permettendogli di intessere rapporti decisivi e duraturi con la politica, specialmente con i rampanti socialisti di Bettino Craxi. Nota non secondaria: nella squadra da calcio della società inizierà a cimentarsi come allenatore. Un ruolo mai abbandonato davvero, nemmeno quando diventerà presidente del Milan. Segrate è la tappa decisiva anche per il Berlusconi televisivo: nel 1976 rileva la tv locale Telemilano, la futura Canale 5.


SUA EMITTENZA

Nel giro di pochi anni, fonda la holding Fininvest, acquista anche Italia 1 (da Rusconi) e Rete 4 (dalla Arnoldo Mondadori Editore), sfida la Rai e obbliga il governo a stravolgere il quadro normativo dei media. L'acquisizione dei diritti del Mundialito nel 1980, strappato a viale Mazzini, è il primo clamoroso atto di forza del Cav. Nel 1984 i pretori oscurano le tre reti: la legge infatti vieta la trasmissione di programmi su scala nazionale a canali privati. Interviene il premier Craxi, che con un decreto ad hoc sblocca la situazione. E' l'inizio della cavalcata trionfale di Sua Emittenza, che segna un decennio anche dal punto di vista culturale. Il Drive In, Mike Bongiorno strappato alla tv di Stato così come Pippo Baudo, Raffaella Carrà, Corrado, Raimondo Vianello e Sandra Mondaini, la Ruota della Fortuna e i format americani teletrasportati in Italia, Telemike, le telenovelas sudamericane. Pubblicità contro canone, allegria contro grigiore, il costume che diventa mercato. Tutto fa spettacolo. Il Berlusconi leader di Forza Italia in fondo nasce in questi anni: più di altri, prima degli altri il Cav usa i sondaggi per capire non solo cosa funziona, ma soprattutto cosa vuola la gente. I programmi più fortunati nascono tutti così: Berlusconi porta a casa la cassetta della puntata pilota e la fa guardare ai suoi dipendenti: camerieri, donne delle pulizie, giardinieri, parenti degli amici. Se lo spettacolo funziona, si parte. E pazienza se gli addetti ai lavori, almeno all'inizio, storcono il naso.

 

CALCIO-SPETTACOLO

Il 20 febbraio 1986, dopo una trattativa lampo, Berlusconi si butta pure nel calcio e salva dal fallimento il Milan, reduce dalla sciagurata gestione Giussi Farina. Il Diavolo è una grande caduta in disgrazia, fuori e dentro il campo. I primi mesi sono deludenti, ma in estate la campagna acquisti è in grande stile: arrivano, tra gli altri, Donadoni, Massaro e Galderisi. Per far capire che in Serie A tira un'aria nuova, il presidente fa atterrare i giocatori all'Arena in elicottero, sulle note della Cavalcata delle Valchirie di Wagner sparata a tutto volume dagli altoparlanti. Se c'è una immagine che riassume il rapporto tra il Cav e il pallone, più ancora delle cinque Coppe Campioni / Champions League vinte in 31 anni, è questa: smargiasso, scenografico, spettacolare. E di parola, costi quel che costi: la prima stagione intera alla guida dei rossoneri è interlocutora ma serve per gettare le basi per il ciclo che seguirà. Il 1987 è lo spartiacque del calcio italiano: inizia l'era di Arrigo Sacchi, che coincide con quella degli olandesi Gullit e Van Basten prima, Rijkaard un anno dopo. Il tecnico di Fusignano è spregiudicato e rischia l'osso del collo. Per molti è a un passo dall'esonero in autunno, dopo l'eliminazione in Uefa per mano dell'Espanyol. Mitologica la telefonata ricevuta da Berlusconi: "Continui così che alla fine avremo ragione lui". E così è: un ciclone si abbatte sul Napoli di Maradona e sul nostro calcio. Scudetto in rimonta, con 3-2 al San Paolo e sorpasso alla terz'ultima giornata davanti ai tifosi azzurri che applaudono. La squadra che 5 anni prima era in B, nel maggio del 1989 si ritrova di nuovo sul tetto d'Europa, dopo un 5-0 al Real Madrid a San Siro e un 4-0 alla Steaua Bucarest nella finale di Barcellona. Poi Supercoppa italiana, Supercoppa europea, Coppa Intercontinentale a Tokyo. Quindi altro triplete europeo, con la gemma della seconda Coppa dei Campioni consecutiva vinta 1-0 nel 1990 a Vienna contro il Benfica. E' un Milan che incanta il Mondo, Berlusconi ripete fino allo stremo "più forti di tutto e di tutti", parla di "stile, classe, eleganza". Si crea un "brand", ed è questo forse il merito più grande del presidente più vincente e longevo nella storia rossonera. Il visionario che aveva scommesso tutto sullo sconosciuto Arrigo nel 1991 capisce prima di tutti cosa serve a un gruppo enorme per continuare a vincere: un grande gestore di uomini, energie, risorse. Fabio Capello, praticamente all'esordio in panchina, è il secondo colpaccio del Cav. Con lui tre scudetti consecutivi e gloria eterna ad Atene, nel 1994, con la terza Coppa dei Campioni vinta con un altro 4-0, ma stavolta al favoritissimo Barcellona di Cruijff. Poche ore prima, Silvio ha incassato la fiducia alla Camera diventando presidente del Consiglio. Il giorno perfetto, ma anche l'inizio della sua condanna. Da quel momento, infatti, calcio e politica si sono intrecciati in maniera inevitabile. Gli stessi tifosi rossoneri si sono spesso spaccati, accusando il presidente di disinteressanti progressivamente e di considerare il club non più un pezzo di cuore, ma un "giocattolo" da usare soprattutto per fini propagandistici. Ingeneroso, certo, ma la seconda parte della presidenza Berlusconi è più ricca di alti e bassi rispetto alla prima. Ma proprio come nelle campagne elettorali, l'uomo di Arcore dà prova di essere sempre capace dell'inatteso colpo di reni, l'acquisto, la scelta o la frase che ribalta il destino. Nel 1999 lo scudetto-miracolo di Zaccheroni, un allenatore che però non ha mai legato davvero con il grande capo. Nel 2001, poi, c'è da sostituire il turco Terim (detto l'Imperatore, convivenza impossibile...) e Silvio e il fidatissimo braccio destro Galliani (che con Confalonieri, Marcello Dell'Utri e Gianni Letta forma un inossidabile cerchio magico) decidono di scippare in poche ore Carlo Aancelotti al Parma. Forse l'unico sgarbo in 30 anni, ma paga: con Carletto il Milan torna a dominare, con uno scudetto, due Champions vinte (indimenticabile quella contro la Juventus nel 2003 a Manchester, dopo aver eliminato l'Inter in semifinale) e una persa in maniera incredibile a Istanbul contro il Liverpool. Silvio ha un ritorno di fiamma, riferisce di aver suggerito lui per primo l'iconico modulo "ad albero di Natale", Ancelotti alza il sopracciglio, increspa la bocca a mo' di sorriso, conferma la versione ai giornalisti e in cambio si porta a casa le coppe. Il binomio si chiude nel 2009, ma le cessioni negli anni precedenti di Shevchenko e Kakà avevano fatto intuire una triste verità: il Milan non è più in grado di respingere gli assalti delle avversarie sul mercato e "blindare" le sue stelle. I tifosi più critici la considerano una macchia indelebile per l'ultimo decennio di presidenza Berlusconi, che salvo lo scudetto 2011 firmato da Allegri è una lenta discesa verso gli inferi dell'anonimato. L'esatto opposto di quello a cui ha sempre ambito il patron. L'addio nell'aprile 2017 al cinese Yonhong Li, dopo mesi di trattative improbabili, cordate segrete, altri cinesi misteriosi e sceneggiature da film comico, è triste. D'altronde, il Cav sta lottando da anni con problemi ben più grandi di un pallone sgonfio.

 

UN MILANESE A ROMA

Se non avesse deciso di candidarsi premier, Berlusconi si sarebbe ritagliato un posto nella storia non solo italiana come uomo d'impresa eclettico, scaltro, coraggioso, e come uomo di calcio rivoluzionario. Eppure l'indole del leader lo porta oltre ogni utilitarismo a lanciare la sfida suprema. Ego ipertrofico o calcolo? "L'Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare". E' il 26 gennaio del 1994, e Berlusconi annuncia con un videomessaggio televisivo alla Nazione la sua discesa in campo, con Forza Italia che correrà alle elezioni politiche del 27 e 28 marzo. Un momento epocale, per lui e per la politica italiana, ancora nel pieno del caos post-Tangentopoli. In tre mesi, con una macchina elettorale mostruosa fatta di slogan rapidi ed efficaci e una comunicazione mediatica (televisiva, soprattutto) avanti anni luce rispetto alla concorrenza, compie il miracolo: travolge la "gioiosa macchina da guerra" del Pds guidato da Occhetto, che si sentiva già la vittoria in tasca per mancanza di avversari, riempie il vuoto di Psi e Dc cancellati dal pool di Mani Pulite e vince alleandosi con la Lega di Bossi a Nord e il Movimento sociale di Fini al Centro-Sud. Questi tre mesi hanno condannato, di fatto, Berlusconi ad almeno 20 anni di assalti, accuse e sospetti dagli avversari. Primo fra tutti, quello di aver goduto dell'appoggio della mafia nel Mezzogiorno. Difficile scindere la carriera romana del Cav dai veleni che lo hanno colpito, talvolta azzoppato, spesso condizionato nelle sue reazioni.

 

L'ACCHIAPPAVOTI

In quasi 30 anni di vita nei Palazzi del potere, presiedendo 4 governi in 3 legislature, ha dato dimostrazione innanzittutto di essere una prodigiosa macchina acchiappa-voti. Le sue campagne elettorali saranno studiate nei decenni a venire: quelle vinte, nel 1994, nel 2001 e nel 2008, ma soprattutto quelle perse, nel 2006 e nel 2013, quando con exploit personali nelle ultime settimane ha condotto il centrodestra a un passo dal clamoroso successo, complicando terribilmente la vita a Romano Prodi prima (l'unico davvero in grado di sconfiggerlo alle urne, nel 1996) e a Pier Luigi Bersani poi. I colpi di coda sono stati sempre la specialità della casa del Caimano, come lo ha soprannominato non a caso il suo più grande nemico sulla carta stampata, Marco Travaglio. Il suo merito politico quello di aver creato dal nulla il centrodestra italiano: l'alleanza Lega-Msi (poi An), tanto rischiosa quanto geniale, fallita per un avviso di garanzia (toh) e le paturnie di Bossi, ma ricucita attraverso un incessante pressing personale (il Berlusconi affabulatore e ammaliatore, decisivo), sotto forma di "Casa delle Libertà e del Buon governo" nei primi anni Duemila. Quindi nel novembre del 2007 la nascita del Pdl: una bomba atomica sganciata dal predellino dell'auto parcheggiata in piazza San Babila, l'unico modo per rispondere alla nascita del Pd annunciata da Veltroni. Dal 2013 inizia il decennio del lento tramonto del Cav leader indiscusso: dal Pdl torna a Forza Italia, i numeri si ridimensionano elezione dopo elezioni, il partito perde la sua egemonia, rischia di venire travolto dalla sbornia populista e sovranista. Prima arriva l'onda leghista con Matteo Salvini, quindi quella di FdI e Giorgia Meloni, uno tsunami. Forza Italia è sempre più simile a un partito personale, il partito di Silvio, e il 7% raccolto alle urne è evidentemente un tributo all'ex premier da parte di uno zoccolo duro che ancora vede, in lui, la speranza della rivoluzione liberale annunciata nel 1994.  


HA VINTO O HA PERSO?

La domanda è inevitabile? Cos'ha lasciato Berlusconi alla politica italiana? O meglio: ha vinto o ha perso, alla fine? Qualche anno fa rivendicava con orgoglio: "Ho introdotto l'alta velocità, la patente a punti, eliminato la leva e non ho mai messo le mani nelle tasche degli italiani". Sul piano interno, ha fissato alcuni punti cardine sempre ignorati: la lotta contro il Fisco oppressivo e la Giustizia lenta e ingiusta (e per questo uno dei temi dei suoi detrattori è sempre stato il "conflitto d'interessi" tra il governo e le sue aziende), la guerra alla burocrazia interna, lo sdoganamento di un intero mondo, quello di destra non necessariamente post-fascista, che i progressisti avrebbero volentieri relegato fuori dall'arco parlamentare. Ha tentato, in una parola, di ribaltare l'egemonia culturale che la sinistra ha esercitato per 50 anni, non potendo accedere a Palazzo Chigi. In politica estera, aveva centrato il punto cercando di integrare la Russia nell'Occidente, con gli storici accordi di Pratica di Mare del 2002 tra il presidente americano George W. Bush e quello russo Vladimir Putin, drammaticamente tornati d'attualità 20 anni dopo. Riavvicinare Mosca a Europa e Nato, per chiudere definitavamente la Guerra fredda. Progetto ambizioso e lungimirante, alla prova dei fatti fallita. Berlusconi ha però imposto con la sua personalità una linea diretta e assai informale tra Palazzo Chigi e le segreterie e le cancellerie internazionali. Ottimi i rapporti, addirittura di amicizia personale, con Putin e Bush, ma pure con il turco Erdogan, lo spagnolo Aznar, addirittura Muammar Gheddafi. Al di là delle differenze politiche e culturali, da premier italiano ha sempre cercato di rinsaldare rapporti per ottenere il meglio, intuendo spesso prima degli altri la direzione in cui stava andando il mondo. A mancare, forse, è stato il quadro generale: una "sistematicità" a una politica più di slanci personali che di agende condivise con gli alleati e con lo stesso Paese-Italia. E allo stesso modo delle "simpatie", hanno pesato in negativo le "antipatie" con alcuni attori fondamentali della scena europea, Angela Merkel (e poco importa che la frase "culona inchiavabile" a lui attribuita non sia mai stata pronunciata, in realtà) e Nicolas Sarkozy su tutti, ma pure molti alti Papaveri dell'Unione europea e dell'apparato burocratico finanziario. Berlusconi, trascinatore di folle, ha sempre di fatto giocato da solo e nei salotti buoni è sempre stato considerato come un ospite scomodo, se non indesiderato. La crisi finanziaria del 2008-2009, più ancora degli scandali sessuali che lo hanno colpito in quei mesi, ha decretato la fine del suo quarto governo, quello che aveva in Parlamento i numeri più solidi. Nel giro di poche settimane: la rottura con Fini, la lettera della Bce sui conti italiani, l'euro-pressing per sostituirlo con il più "in linea" Mario Monti. E forse, proprio l'impostazione "face to face" di rapporti più che istituzionali gli è costata carissima. Un esempio? Il legame con Putin, con cui ha disperatamente tentato di mantenere un rapporto privilegiato anche negli ultimi mesi in cui lo Zar ha tagliato ogni ponte con l'Occidente. In pubblico e in privato, Berlusconi ha cercato di mandare dei messaggi concilianti "all'amico Vladimir", per tentare di farlo rinsavire. Una mediazione che ha fatto passare il leader forzista dalla parte dei "paci-finti" e dei "fiancheggiatori del nemico". Cronaca di una caduta senza rete, appunto.

 

Il MANGIA-DELFINI

Senza rete, e qui sta la grande "tara" del Berlusconi leader. Il "titanismo" dell'uomo e l'eccesso di generosità (e l'alta considerazione di sé, ovviamente) l'hanno sempre costretto a stare in prima linea, anche quando sarebbe stato opportuno fare un passo indietro, da padre nobile. Formula ricorrente, quest'ultima, soprattutto nei momenti in cui nel centrodestra hanno cercato di fargli le scarpe. Lui ci ha provato, a trovare un erede: in ordine sparso, Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini, Giovanni Toti e Stefano Parisi, tutti divorati dalle circostanze, dal tempismo sbagliato, dalla mancanza di carisma. L'unica in grado forse di sostituirlo è stata quella a cui lui ha sempre detto no: la figlia primogenita Marina. "Non voglio che viva quello che ho dovuto vivere io". Inteso come processi, contumelie, offese, umiliazioni umane, campagne stampa devastanti. E Marina, va detto, è sempre stata la prima a rifiutare ogni ipotesi di questo tipo, proprio perché essendo stata vicinissima al padre ha potuto vedere da vicino il suo calvario. Non è un caso, però, che dopo 20 anni da protagonista assoluto, Berlusconi abbia imboccato il viale del tramonto dovendo cedere lo scettro alla Meloni, personalità quanto più lontana da lui non solo politicamente.

 

FATELO CADERE

Le delusioni finali, inevitabili in una carriera lunghissima, non cancellano però la vera, grande soddisfazione dell'uomo-Berlusconi: aver resistito all'assalto giudiziario, e in ultimo aver vinto. Insieme a Bettino Craxi e ancora più a Giulio Andreotti, il Cav è stato il leader italiano più tartassato dalla magistratura. Non è un caso che nel 2003 una sua frase proprio sui processi contro il Divo sia diventata emblematica della sua guerra personale contro le toghe: "Questi giudici sono doppiamente matti. Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana". La sprezzante ironia tradiva la delusione, forse il disgusto personale. In 25 anni, l'ex premier ha subito 88 tra indagini archiviate e processi veri e propri. Di questi, solo uno si è concluso con la condanna: quello Mediaset per frode fiscale, che nel 2013 ha fatto scattare la sua decadenza da senatore e l'incandidabilità per effetto della Legge Severino. Dal lodo Mondadori contro De Benedetti ai processi All Iberian e Sme, dalle inchieste per mafia per il suo rapporto con "lo stalliere di Arcore" Vittorio Mangano e il presunto coinvolgimento nella stagione delle bombe di Cosa Nostra tra 1992 e 1994 fino ai processi ultra-mediatici sul caso Ruby, finiti con l'assoluzione dopo 10 anni di gossip sessuale di infimo livello. Un tornado che, per sua stessa ammissione nel 2018, gli è costato 770 milioni di euro. Esagerato? Forse. Di sicuro, sarebbe bastato un centesimo di quanto vissuto fuori e dentro le aule di tribunale ad abbattere qualsiasi altro politico, anche considerando i grossi problemi di salute che hanno contraddistinto gli ultimi anni del Presidente, dal tumore alla prostata nel 1997 all'operazione al cuore nel 2016, fino al Covid che lo ha colpito pesantemente nel 2020. Ma la tempra dell'uomo è questa. "Non si illudano: ci seppellirà tutti. La sua vera età è di 55 anni. Berlusconi è tecnicamente quasi immortale", aveva affermato nel 2004 il suo medico personale Umberto Scapagnini. Sembrava una boutade e venne accolta tra il ludibrio generale, considerata la sparata di un suo "tirapiedi". Oggi, 20 anni dopo, possiamo dirlo: aveva ragione l'ex sindaco di Catania.  

 

VIVA L'AMORE

Infaticabile, immarcescibile. Anche con le donne, vera e propria croce e delizia politica e, vedi sopra, legale. Dalla prima moglie Carla Dall'Oglio ha avuto i figli Marina e Pier Silvio, nel 1980 ha conosciuto l'attrice Veronica Lario innamorandosene perdutamente. Con lei sono stati 30 anni di romanticismo e paillettes, con tre figli: Barbara, Eleonora e Luigi. Finiti però malissimo nel maggio 2009: il Cav, già premier, partecipa a Napoli alla festa di compleanno della neo-18enne Noemi Letizia. Il caso esplode sulla stampa, la ragazza rivela di chiamarlo "papi" e la moglie all'Ansa dichiara: "La strada del mio matrimonio è segnata, non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni". Inizia un incubo fatto di insinuazioni pesantissime. Si parla apertamente di "pedofilia" e "ossessione sessuale" del Cav. Pochi mesi dopo, a inizio 2011, la situazione precipita con il terremoto Ruby: Karima el Mahroug, la giovanissima marocchina che partecipava alle "cene eleganti" di Arcore insieme alle altre "olgettine". Nicole Minetti, Barbara Guerra, Marysthelle Polanco. E ancora, Patrizia D'Addario e il filone barese dello scandalo escort, a suon di rivelazioni piccanti e di intercettazioni, compresa quella sul mitico "lettone di Putin". Nessuna di loro ha mai speso una parola al veleno sul Cav, tutte hanno riconosciuto la sua correttezza e la sua umanità. E lui è riuscito a reggere l'urto e ritrovare una insperata serenità. Francesca Pascale e Marta Fascina sono state le ultime compagne, nel decennio più difficile e turbolento.

 

UNA RISATA LI SEPPELLIRA'

Metà odio (degli altri), metà amore. Ecco cos'è stato Berlusconi. Capacità di affascinare, almeno per un momento, anche chi lo considera il male assoluto. "Non avete dignità, non sapete cos'è la libertà d'animo, non sapete cos'è la democrazia, non sapete che cos'è la dignità! Siete ancora ed oggi come sempre dei poveri comunisti!". E' il 19 giugno del 2009 e Berlusconi, contestato da un gruppo di oppositori di sinistra durante un comizio a Cinisello Balsamo, lancia la sua invettiva finale, definitiva, diventata negli anni un "meme" virale sui social. E' sempre stato il suo destino, da quando ha fondato Forza Italia, che definiva "la vittoria dell'amore sull'invidia e sull'odio". Massacrato quotidianamente: in aula alla Camera o al Senato, sui giornali, in tv. I Girotondi e il Popolo Viola, Nanni Moretti e Sabina Guzzanti, Michele Santoro e Daniele Luttazzi (il famigerato "Editto bulgaro" che portò alla loro cacciata dalla Rai insieme a Enzo Biagi era una reazione, durissima nei toni ("Hanno fatto un uso criminoso della tv pubblica. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga"), a settimane di attacchi altrettanto violenti ai suoi danni. Umanamente, Berlusconi ha sempre ambito a essere ecumenico e bipartisan, non concepiva una opposizione pregiudiziale e a priori, la considerava una ingiustizia. E per questo esplodeva verbalmente. Ma ha sopportato migliaia di contumelie e offese, quasi senza batter ciglio e soprattutto, senza far piovere querele a raffica a differenza di molti suoi colleghi politici. Era nella "natura" dell'uomo, sicuro di poter sistemare le cose con un "mi consenta" e un sorriso. Come quando in diretta a Servizio Pubblico passò minuti e minuti a demolire Santoro e Travaglio, spolverando perfino la sedia su cui quest'ultimo si era seduto, per poi concludere tutto con un memorabile "non sapete nemmeno scherzare". Dopo i buuu, era riuscito a strappare una risata in studio anche al pubblico della trasmissione più rossa che c'era.
 

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