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Berlusconi, asfaltati tutti quanti! Ecco i leader che ha archiviato

Elisa Calessi
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La lista degli avversari politici di Silvio Berlusconi non solo è lunga, ma attraversa stagioni della storia di questo Paese. E segna persino i cambiamenti dei partiti che lo hanno contrastato. Il primo competitor, quello legato alla “discesa in campo” e alla nascita di Forza Italia, fu Achille Occhetto. Segretario del Pds, protagonista della “svolta” della Bolognina, candidato dei Progressisti, guidò quella “gioiosa macchina da guerra” che, dopo la bufera di Tangentopoli, si pensava avrebbe consegnato il governo del Paese agli eredi del Pci, appena sfiorati dallo scandalo di Mani Pulite. Non fu così: l’inventore di Fininvest e di Milano 2 scardinò gli schemi, candidandosi. Vinse. Memorabili furono i confronti in tv tra i due, che fissarono la differenza tra due mondi, due epoche, due modi opposti non solo di intendere la società, ma anche di comunicare, di parlare agli elettori. Il ciclone Berlusconi ebbe la meglio e cambiò tutto. Politica e comunicazione.

 

 


L’avversario per eccellenza, però, quello con cui si confrontò per ben due volte alle elezioni politiche, fu Romano Prodi. L’unico, peraltro, che riuscì a sconfiggerlo entrambe le volte: nel 1996, dopo la rottura della Lega che fece cadere il primo governo Berlusconi, e dieci anni dopo, nel 2006. Vicende parallele, perché sia in un caso, sia nell’altro, i due leader e candidati premier erano reduci da un “tradimento” di un partito alleato. Nel 1996, Berlusconi si presentò alle elezioni dopo lo strappo con la Lega. E perse. Accadde la stessa cosa, a parti inverse, a Prodi, dieci anni dopo. Nel 2006 il Professore fu richiamato da tutti i partiti del centrosinistra dopo che la sua prima esperienza a Palazzo Chigi, nel 1996, era finita per colpa di Rifondazione comunista, che aveva ritirato l’appoggio al governo. Non solo: Massimo D’Alema aveva preso il suo posto, creando una nuova maggioranza, grazie al sostegno dell’Udr di Francesco Cossiga. Anche nel caso di Prodi- come accadde con Berlusconi nel ’96 - il “richiamo alle armi”, seguito al tradimento della propria parte, finì male. Vinse le elezioni, ma dopo due anni la sua maggioranza si sgretolò di nuovo, sotto i colpi dell’inchiesta giudiziaria che colpì Clemente Mastella, ministro della Giustizia, e dei voti in dissenso di alcuni senatori di Rifondazione Comunista.

 

 


L’altro avversario di Berlusconi fu Francesco Rutelli. Fu lui, nel 2001, a candidarsi alla guida dell’Ulivo. Giovane sindaco di Roma, fu la carta che il centrosinistra giocò per far dimenticare agli elettori i “tradimenti” che fecero cadere il governo Prodi e la permanenza a Palazzo Chigi di due esecutivi frutto di operazioni di Palazzo, quelli D’Alema e Amato. Rutelli perse. Per Berlusconi iniziò il periodo più lungo a capo del governo, dal 2001 al 2006, con una maggioranza tra le più larghe della storia della Repubblica. Nel 2008, dopo la parentesi del secondo governo Prodi, fu la volta di Walter Veltroni e del tentativo di creare in Italia un sistema bipartitico, nella speranza di rendere più stabile il panorama politico e di risolvere il problema di coalizioni litigiose. Nel centrosinistra si diede vita al Partito Democratico, confluenza di Ds e Margherita, di cui Veltroni fu il primo segretario. Berlusconi, in risposta, creò, con il celebre discorso del predellino, il Popolo della Libertà. Era il 18 novembre 2007. Obiettivo di entrambi era “americanizzare” il sistema politico italiano, dove il partito dei Repubblicani si confrontava con quello dei Democratici. Parte di questo tentativo fu la modifica della legge elettorale, ma anche una reciproca legittimazione dal punto di vista dello stile comunicativo: fu la campagna elettorale in cui Veltroni, per rompere con l’antiberlusconismo, decise di non nominare mai Berlusconi e di chiamarlo “il principale esponente dello schieramento a noi avverso”. Perse.

 

 

E cominciò il terzo governo a guida Berlusconi. Nelle elezioni del 2013 il competitor fu Pierluigi Bersani. A capo della coalizione chiamata Italia Bene Comune, l’allora segretario del Pd sfidò il centrodestra, guidato da Berlusconi, dopo la caduta del 2011, la crisi finanziaria, l’arrivo di Monti, la decadenza da senatore per condanna giudiziaria. Fu l’anno dell’exploit dei Cinque Stelle e anche dell’insapettata rimonta di Berlusconi: un risultato che spaccò il Parlamento in tre, marginalizzando centrodestra e centrosinistra. Cinque anni dopo, avversario del leader di Forza Italia fu un dirigente che, per anagrafe, avrebbe potuto essere suo figlio: Matteo Renzi. Con lui, diventato segretario del Pd, l’8 gennaio 2014 siglò il famoso Patto del Nazareno, un accordo per cambiare legge elettorale e fare una serie di riforme costituzionali, stretto nella sede Pd del Nazareno, dove Berlusconi, scrivendo un’altra pagina di storia, accettò di andare. Il patto saltò sull’elezione del presidente della Repubblica. Ma i due non hanno mai smesso di sentirsi e di stimarsi. Ultimo in ordine di tempo, ma più vicino per età, Pierluigi Bersani. Nelle elezioni del 2018 si presentarono ciascuno alla guida della propria coalizione. 

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