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Schlein-Conte, piano-kamikaze: più lavoro nero per gli italiani

Alessandro Gonzato
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Noi l’avevamo scritto un anno fa, il 10 luglio 2022, quando l’armocromia della Schlein era sconosciuta e Conte purtroppo no: il salario minimo, oggi feticcio di entrambi contro il governo che «affama i poveri», costerebbe 6 miliardi e sarebbe più un danno che un beneficio per l’economia italiana, così come lo è stato il reddito di cittadinanza che quando è stato tagliato l’occupazione è cresciuta. Ora l’eventuale nuova fregatura (già, dimenticavamo il superbonus di Conte) la evidenzia anche la Cgia di Mestre, l’associazione che riunisce artigiani e piccole imprese. 

«Nel caso fosse introdotto per legge il salario minimo a 9 euro lordi all’ora», scrive la Cgia in un rapporto diffuso ieri, «potrebbe esserci il serio pericolo di vedere aumentare il lavoro irregolare, in particolare nei settori dove attualmente i minimi tabellari sono molto inferiori alla soglia proposta dal disegno di legge presentato nei giorni scorsi alla Camera». Il testo è stato presentato da tutte le opposizioni tranne Italia Viva.

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I settori più a rischio, spiega la Cgil, sono l’agricoltura, il lavoro domestico e alcuni comparti presenti nei servizi, «settori già fiaccati da una concorrenza sleale molto aggressiva praticata dalle realtà che da sempre lavorano completamente in nero». In sostanza, «non è da escludere che molti imprenditori, costretti ad aggiustare all’insù i minimi salariali, potrebbero essere tentati di licenziare o di ridurre l’orario di alcuni dipendenti, costringendoli comunque a lavorare lo stesso, ma in nero.

Questa “contromisura”», prosegue la Cgia, «consentirebbe a molte attività di contenere i costi e di non scivolare fuori mercato». E i problemi maggiori si verificherebbero al Sud, nelle regioni in cui Conte ha costruito la propria narrazione, cioè mance elettorali per restare sul divano e arrotondare il sussidio con qualche lavoretto in nero, e siamo sempre lì, all’illegalità. Il 38% dei lavoratori irregolari risiede nel Mezzogiorno, un milione 100mila persone su un totale nazionale di 2 milioni 900mila». Nel settore dei servizi, e riportiamo i dati Istat, ci sono 2,3 milioni di occupati irregolari (oltre all’ambito domestico si deve aggiungere il commercio, la ristorazione e gli alloggi). 

 

La Cgia di Mestre non è contraria del tutto al salario minimo. Lo appoggerebbe, qualora però «al trattamento economico minimo, ossia i minimi tabellari previsti dai singoli Contratti nazionali di lavoro, si aggiungessero le voci che compongono la retribuzione differita». Queste voci, presenti nel contratto collettivo nazionale, costituiscono il cosiddetto “trattamento economico complessivo”: si tratta dei fringe benefit (buoni pasto, auto e cellulare aziendale, voucher, borse di studio), la bilateralità, le indennità di trasferta, del lavoro notturno e festivo, i premi, gli scatti di anzianità, la quattordicesima, il trattamento di fine rapporto, il welfare aziendale. Dunque costi su costi astronomici per lo Stato.

EFFETTO A CATENA
La Cgia sarebbe comunque contraria ad applicare la misura agli apprendisti. La loro retribuzione si aggira sugli 800 euro netti (altro dato Istat). L’importo è basso perché segue la logica di questo inquadramento, introdotto nel ’95 e rivolto a chi ha meno di trent’anni ed entra nel mercato del lavoro senza esperienza. «Appare evidente che se si dovesse ritoccare all’insù la retribuzione per i livelli più bassi», scrive ancora la Cgia, «la stessa operazione dovrebbe essere effettuata anche per gli inquadramenti immediatamente superiori. Molti lavoratori si vedrebbero ridurre o addirittura azzerare il differenziale salariale coi colleghi assunti a livelli inferiori». 

Ma la Schlein spalleggiata dalla Cgil di Landini insiste sui 9 euro lordi: «Non possiamo più aspettare», tuona Elly. Insiste anche Conte: «La Meloni deve ascoltarci», dichiara con sicumera il capo grillino. «Queste forze di maggioranza devono ascoltare i milioni di lavoratrici e lavoratori». La Cgia, al di là di tutto, spiega che «sarebbe opportuno, come in parte ha fatto sia il governo Draghi che quello Meloni, ridurre il cuneo fiscale». Non ditelo a Schlein e Conte.

 

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