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Giorgia Meloni, "il mio piano per i prossimi 10 anni": la prima volta per un premier

Francesco Specchia
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La rivoluzione non è un pranzo di gala, ma il suo racconto si accende dopo un pranzo di gala. È dopo un pranzo ufficiale, probabilmente al caffè, in un veloce scambio d’auguri, che il cronista Sandro Sallusti pone una domanda all’amica appena issata trionfalmente a Palazzo Chigi: «Giorgia, dove ti vedi fra dieci anni?», cercando di ottenere, appunto un cronoprogramma della rivoluzione conservatrice, manifesto stesso dell’esecutivo. Sandro lecitamente chiede, Giorgia cortesemente risponde: «Ti posso dire come spero di vedermi tra dieci anni. Orgogliosa di come ho fatto il mio lavoro, e consapevole del fatto che non è stato un impegno vano». E Sallusti la butta lì: «Peccato che un presidente del Consiglio in carica non possa pensare di scrivere un libro per raccontare i suoi progetti». E lei: «E perché non può farlo?».

Sallusti rimane spiazzato (raramente accade): «Non lo so di preciso, ma ci sarà un motivo se nessuno l’ha mai fatto». Giorgia rintuzza: «Dovresti sapere che fare quello che hanno fatto tutti gli altri non è esattamente la mia specialità». Ecco. Questa sarebbe la genesi, de La versione di Giorgia il libro che, in dialogo col direttore di Libero, rivela l’ottica futura del governo Meloni e disvela l’affaticata ricerca della premier di un equilibrio fra la sua vita privata e quella della nazione che si è ritrovata improvvisamente a governare.

 

BOZZE SEGRETE
La versione di Giorgia è, finora, un oggetto editoriale misterico. Uscirà tra tre settimane (pure se è già in vendita su Amazon), ma pochissimi ne hanno già visionate le bozze. Noi in redazione ne abbiamo avuto percezione soltanto da brandelli di battute esalate nelle riunioni di redazione da Sandro Sallusti, infilatosi come un’ombra nei colloqui tra i mille impegni della premier, e visibilmente ingobbito sull’editing delle molteplici, pignolissime versioni della Versione. Il mondo Meloni è un magma affascinante, denso di passione popolare e di utopie ancorate a terra. E il libro che lo disvela possiede la strana caratteristica di essere un memoir di cose non accadute ma che accadono o che accadranno: è come prendere la cornice della Versione di Barney Panofsky e metterci dentro la biografia di Golda Meir che come premier israeliana venne definita «il miglior uomo al governo». Citazione che non a caso viene evocata anche per Meloni. Le agenzie, della Versione, riportano le linee guida narrative.

Trattasi di un racconto appassionato in cui la Presidente «fa i conti con le sfide del presente – dalla guerra in Ucraina alla crisi energetica, dalla transizione ecologica all’inflazione – e che ha il coraggio di puntare sulla responsabilità individuale, sul libero spirito d’iniziativa, sulla difesa della natura, su investimenti mirati per favorire la crescita e dunque ridurre il debito, su un’Europa protagonista nel mondo e vicina alle esigenze dei suoi abitanti, su un “Piano Mattei” in grado di portare opportunità e sviluppo in Medio Oriente e in Africa».

 

Meloni stessa confida a Sallusti che «è fondamentale che gli italiani vedano un governo che, per carità, ha i suoi limiti e difficoltà, magari fa perfino degli errori. Ma ce la mette tutta, in buona fede, con umiltà e amore». E continua: «Un governo che non ha amici da piazzare, lobby da compiacere, potenti da ripagare. Che non guarda in faccia a nessuno, che non intende fregarti, che ha il coraggio di dirti anche quello che non si può fare in un dato momento o contesto». È il progetto che Meloni sta sottoponendo al giudizio degli italiani «e alla prova dei fatti, che alla fine saranno gli unici giudici indipendenti».
Meloni non è nuova agli exploit editoriali: il suo precedente Io sono Giorgia ha venduto uno sfracello di copie, è stato tradotto e pubblicato in Francia, Spagna e Grecia. Era - diciamo- l’antefatto. La Versione è lo step successivo. E la si può leggere come un viaggio narrativo che si snoda su tre punti.

Punto numero uno: è la prima volta che un Presidente del Consiglio in carica affida il suo orizzonte programmatico ad un instant-book (di solito i libri dei premier e dei Capi di Stato si scrivono dopo l’esperienza di governo, né prima né tantomeno nel “mentre”); e questo esporsi è un atto coraggioso ai limiti dell’arditezza, per un politico. Specie per la Meloni che ha fatto di riservatezza e diffidenza quasi una cifra stilistica. Punto due. Il testo sfocia nella consapevolezza del privilegio e della responsabilità di esser stati scaraventati, dall’oggi al domani, dalla politica di strada a quella internazionale, dalla Garbatella al governo del Paese e, conseguentemente al grande proscenio mondiale.

Non si lesinano, per esempio, tra le pagine, le impressioni maturate dai confronti con i grandi leader da Biden aXi. E il tutto è condito da un turbinio di sensazioni contrastanti. Come il senso dello stravolgimento della vita familiare nei rapporti sempre più diradati -causa di forza maggiore- col compagno e la figlia. Anche se Meloni è consapevole che la sensazione dolorosa di allontanamento dagli affetti (che restano, e, anzi si selezionano e si fortificano) viene in realtà compensata dalla contezza di una missione più alta. E la “missione più alta” è il terzo punto. E coincide, fatte le dovute proporzioni, con una “visione” un po’ alla Kennedy o, meglio, alla Thatcher (o alla Golda Meir, appunto).

IL “CONTRATTO”
La visione di un’Italia che possa diventare pietra miliare d’una nuova architettura del mondo: un progetto di palingenesi della stessa società, la cui realizzazione travalica i singoli mandati dei presidenti del Consiglio che potrebbero susseguirsi, affrontando il giudizio delle generazioni a venire («Ci vorrà del tempo, molto più di cinque anni, il progetto è a lunga gittata»). E, paradossalmente non importa che quel progetto sia realizzato dalla Meloni stessa: l’importanza è porvi le fondamenta. La “visione” è al contempo, un contratto con gli elettori – con tutti, non solo quelli di Fratelli d’Italia - ed è anche, alla Rousseau, una sorta di contratto sociale. Una visione siderale. Non so quanti dei suoi - al governo, in Parlamento, nelle amministrazioni locali - siano in grado di comprenderla. Forse neanche Meloni lo sa. Ma trapela dalle pagine di questa sorta di diario intimo/istituzionale la certezza di un «benefico contagio» delle idee e dei progetti. 

Giorgia confida di poter «contagiare» il sistema stesso e chi la circonda con entusiasmo, sangue e sudore di un attivismo finora inesausto. Emerge, insomma- neanche troppo nascosta -l’idea di entrare non in marcia prussiana, ma a passo di danza- nella storia. Se Meloni ci riuscirà o meno dipenderà soltanto da sé stessa...

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