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Berlusconi, "chi e perché mi ha fatto fuori". L'atto di accusa del 2014

Silvio Berlusconi
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Pubblichiamo la prefazione di Silvio Berlusconi al libro di Renato Brunetta Berlusconi deve cadere (Il Giornale, maggio 2014) nel quale racconta i momenti che hanno preceduto le sue dimissioni da premier nel 2011.

Il sangue è il mio. Il complotto era contro di me. Contro l’Italia, contro la sovranità del popolo italiano che mi aveva scelto con il voto per essere il capo del suo governo. Nel leggere la parola “sangue” ho pensato per un attimo che si fosse trattato proprio di eliminarmi fisicamente. Sarebbe interessante a questo punto sapere i particolari del “piano”. Obama disse comunque di no, di qualunque cosa si trattasse, come conferma anche un’inchiesta del Financial Times, uscita anch’essa a maggio 2014, che gli fa pronunciare le parole: «I think Silvio is right», penso che Silvio abbia ragione. Grazie. Lo penso ancora. Avevo ed ho ragione. Non è con l’austerità, non è schiacciando il tallone sul collo della gente che si esce dalla crisi. Soprattutto, il bene della democrazia non è negoziabile, a nessun costo. Quella volta Obama per due volte disse di no. E il complotto non riuscì. Ma il golpe fu soltanto rimandato. Dovevo essere punito, e con me il popolo italiano che mi aveva scelto.

 

 

 

 

NO ALL’AUSTERITÀ

Era successo che in quell’estate-autunno del 2011, mi ero opposto in ogni modo alla politica di austerità che Angela Merkel e Nicolas Sarkozy volevano imporre all’Italia, al punto di volerla far commissariare dal Fondo monetario internazionale. Non intendevo – anche se lasciato solo dal capo dello Stato – rinunciare alla nostra sovranità, per rispetto alla nostra gente e per ragioni di dignità nazionale. Fui costretto però, pochi giorni dopo il G20 di Cannes, dove ai primi di novembre ero stato sottoposto a pressioni tremende, a dimettermi. Lo feci perché preferii ritirarmi piuttosto che danneggiare irreparabilmente l’Italia, che era tenuta sotto tiro con la pistola dello spread. Un’arma costruita a freddo per consentire a potenze esterne e interne, extra democratiche, di prendere il timone della nave. Lo prova il fatto che, come ha riconosciuto nell’autunno 2013 il capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard, la morsa dello spread non si è allentata con l’austerità imposta dal governo Monti, ma solo quando a luglio 2012 Draghi ha promesso che avrebbe fatto «qualsiasi cosa» per difendere l’euro. Perché queste due parole non sono state pronunciate prima che l’Italia adottasse le riforme di Monti, ingiuste e rabberciate?

 

 

 

Questi ulteriori elementi di prova confermano in modo indiscutibile l’intuizione che il professor Renato Brunetta mi espose sin da allora, e che documenta con una narrazione stringente in queste pagine: e che cioè l’Italia sia stata oggetto, attraverso lo spread e ricatti finanziari di ogni genere, ad un “grande imbroglio” e che Mario Monti fosse il terminale di interessi che poco avevano a che fare con l’interesse nazionale. I primi mesi del 2014 hanno visto la fioritura di una serie di testimonianze convergenti. Sin dal giugno del 2011, quando ancora lo spread era ai minimi, Mario Monti era già stato oggetto di un profetico sondaggio da parte del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, così che si tenesse pronto al gran salto a Palazzo Chigi.

 

I SONDAGGI DEL COLLE

Lo ha confessato lo stesso Monti ad Alan Friedman, e lo hanno confermato al medesimo giornalista americano Carlo De Benedetti e Romano Prodi. Addirittura Corrado Passera – si viene a sapere – aveva confezionato un programma economico ad uso di Mario Monti sin da quell’estate. Già nel novembre del 2013, l’ex premier spagnolo Luis Zapatero, nel suo libro Il Dilemma, aveva raccontato che Monti era stato di fatto nominato premier durante il G20 di Cannes da Merkel, Sarkozy, dai burocrati di Bruxelles e del Fondo monetario internazionale. La stessa cosa venne confermata poi da Lorenzo Bini Smaghi, allora alla BCE, nel suo libro Morire d’austerità. Brunetta racconta i fatti del 2011 con dovizia di particolari inediti, ma va oltre. E documenta come il colpo di Stato, non pienamente portato a compimento con Monti, abbia poi trovato il suo coronamento con la mia estromissione dal Senato e con la mia incandidabilità per 6 anni. Un’infamia perseguita sulla base di una legge ambigua, applicata retroattivamente a seguito di una condanna infondata e ingiusta (e che sono sicuro sarà capovolta dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo e dalla revisione del processo). Come si vede gli elementi sono troppi per fingere non sia accaduto nulla di anomalo, e che la democrazia italiana abbia avuto un andamento ligio alla Costituzione. Sono stupefatto che, dinanzi a questa sequenza di avvenimenti per lo meno strana, nessuna procura abbia – almeno nel momento in cui scrivo queste righe – aperto alcun fascicolo con scritto sopra “Estate - autunno 2011: Attentato alla Costituzione”. Quello che è successo è davvero troppo grave per non determinare conseguenze giudiziarie, perché, oltre ad aver colpito il sottoscritto, ha causato due fatti gravissimi: la sospensione della democrazia nel nostro Paese e l’accettazione supina da parte dei governi venuti dopo il mio delle politiche imposte dall’Europa che hanno prodotto per tanti italiani disoccupazione, tasse, impoverimento e disperazione. Si sta ora discutendo di riforme istituzionali. Direi però che la prima riforma deve essere il ripristino della democrazia. Da quel 2011 in Italia non ci sono più presidenti del Consiglio e governi eletti dai cittadini. La prima riforma dunque deve essere quella di riconoscere la verità e di rimediare ai torti che l’Italia ha subito.


 

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