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Esselunga, Paragone: "La sinistra si attacca all'Ikea"

Gianluigi Paragone
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«Spot Ikea meraviglioso da fare vedere di filato per un anno intero in ginocchio sui vetri al marketing manager Esselunga...». Lo scrive tale Massimo Chierici nel tentativo di trovare il contraltare perfetto allo spot - evidentemente imperfetto - di Esselunga, cui va riconosciuto il merito di far parlare di sé, che poi è ciò per cui un committente paga dei professionisti.

Incuriositi dal dibattito in corso sulla pesca della discordia, abbiamo guardato anche quest’altro spot «da far vedere di filato per un anno intero in ginocchio sui vetri ai marketing manager di Esselunga». Ammetto di aver cercato la pubblicità della Ikea (che a questo punto dovrebbe fare almeno una libreria Billy al Chierici) perché attirato dalla condanna espiativa dell’inginocchiamento sui vetri, roba a metà tra Fantozzi e la lettera di Troisi e Benigni a Savonarola: chissà quale capolavoro avranno realizzato per il mobilificio svedese e quale profondità di scrittura per meritare, a contrasto, la severa condanna espiativa.

 

 

 

LA SCENA

La scena è questa: un papà divorziato va a prendere il figliolo dalla madre; il bimbo esce dalla sua cameretta prendendo dalla scrivania alcuni pennarelli come oggetto di conforto, tipo “coperta di Linus”. Un breve viaggio in macchina dove nessuno parla ed eccoci nella casa del padre e... che succede? Il figlioletto si ritrova nella sua “nuova” cameretta che è uguale a quella “vecchia”, quella dell’abitazione materna. Nessuno parla, nessuno sorride. Nessun Wow! Tanto che viene il dubbio se questa replica piaccia davvero al povero tapino. Non accade niente di magico, è la vittoria della standardizzazione. La vita delle persone come i mobili componibili, tutto perfettamente interscambiabile. Tutto splendidamente omologato, uguale, replicabile. Il bambino “formato Ikea” è un attore secondario, a differenza di quanto accade nello spot dell’Esselunga.

 

 

 


Nel “meraviglioso spot”, la vita non merita emozioni; l’unica cosa che accade quando entra nel nuovo/vecchio spazio sono i prezzi dei mobili che compaiono in sovrimpressione. Come a dire, che tutto ha un prezzo (ed effettivamente i divorzi sono costosi, ma questo è un altro discorso). L’unica cosa degna di nota è questa ricerca di comparazioni pubblicitarie sul tema delle famiglie divorziate e delle sfumature che le separazioni generano. Ormai siamo immersi nell’attitudine a dare voti, come fossimo giudici sempre operativi di un grande talent. Esselunga ha voluto raccontare una storia incastonata in una famiglia con un papà, una mamma e una figlia che con malizia usa una pesca per tentare un riavvicinamento. Non c’è un sottotesto, c’è una storia. C’è una emozione.

 

 

 

Non c’è malizia, al contrario di chi attraverso il marketing e la comunicazione da tempo sta raccontando le nuove famiglie Lgbt, le famiglie queer e tutto il resto che la modernità impone come frontiera riformista. Ricordo la ridda di polemiche che scatenò una dichiarazione di Guido Barilla: «Non faremo pubblicità con coppie omosessuali perché a noi piacciono le famiglie tradizionali». Apriti cielo, anche lì si mossero indignati tutti i riformisti, obbligando l’azienda del Mulino Bianco con annesso quadretto familiare (topos di quella comunicazione specifica, nient’altro; perché questo voleva intendere l’imprenditore) a chiedere scusa. Oggi un altro spot imperniato sulla famiglia etero accende una inutile discussione. Tanto da pensare davvero che sono usciti fuori di... pesca. 

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