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Edi Rama, l'intervista: "Perché aiutiamo l'Italia sui migranti"

Francesco Specchia
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Edi Rama - due metri e passa d’altezza distribuiti su un fisico da cestista e pensieri stroboscopici - è un mix fra Franklin D. Roosevelt e Robin Hood. Il suo senso della strategia politica e dell’amicizia lo ha spinto, ieri, a firmare uno storico accordo tra l’Albania di cui è premier e la sodale Giorgia Meloni. Si creano due centri migranti in zona Tirana, per insufflare ossigeno e speranza nel Vecchio Continente asfissiato dai flussi migratori selvaggi.

Presidente Rama, col premier italiano avete annunciato l’apertura in Albania di due centri per 3000 migranti irregolari. Come nasce questo protocollo d’intesa, e quali vantaggi porterà all’Italia, all’Europa, e anche all’Albania?
«Non lo facciamo per trarre vantaggi, ma per dare una mano nel nostro piccolo a un Paese che ha dato una grande mano a noi quando eravamo tra la vita e la morte, e che è diventato la nostra seconda patria in Europa. L’Italia è dove vivono, lavorano, fanno figli centinaia di migliaia di albanesi e dove altre centinaia di migliaia vanno ogni anno per fare business, studiare o semplicemente respirare aria di casa in Europa. E dovrà essere sempre un onore per l’Albania dimostrarsi utili all’Italia. Anche se il grande problema dell’immigrazione irregolare per l’Italia e per l’Europa noi non lo possiamo risolvere: ma, ripeto, dare una mano è il nostro naturale dovere».

Lei è stato il primo capo del governo ad accogliere i profughi afghani. L’Albania ha un’indubbia vocazione d’accoglienza. È per questo che può proporsi come nazione di sostegno e di aiuto per le politiche migratorie in Ue?
«No, a dire la verità noi abbiamo avuto delle richieste di questo genere anche da altri Paesi, ma non siamo stati e non possiamo essere disposti a proporci come “nazione di sostegno”, per più di un motivo».

Però ora, scusi, lo state facendo.
«Ma quando una richiesta tale viene dall’Italia noi non ci possiamo tirare indietro, per più di un motivo. Con gli afgani era qualcosa di diverso; e se altri paesi Nato, più grandi e più ricchi di noi hanno rifiutato di aprire loro le porte, dopo averli lasciati nella pietà dei talebani in un battito d’occhi, l’Albania non poteva fare lo stesso».

E perché non vi siete voltati dall’altra parte?
«Perché allora si trattava di gente esposta ad alto rischio mortale, e perché loro avevano creduto nel nuovo mondo che noi occidentali abbiamo loro promesso. Hanno lavorato per la Nato come traduttori, autisti, tecnici e non solo. Hanno creato partiti e Ong per promuovere diritti umani e valori di libertà; hanno fondato media indipendenti e sono scappati senza pensare più a loro. Non era giusto verso noi stessi, verso la nostra storia e verso i nostri figli. Se i nostri figli oggi hanno un futuro lo devono al fatto che quando eravamo noi gli “afgani” che volevano scappare dall’inferno, be’, l’Italia in primis non ci chiuse la porta del futuro in faccia. Oggi, grazie all’Albania quei più di 4000 afgani che salvammo dalla morte, hanno un futuro in America e in Canada, dove sono arrivati sani e salvi dopo qualche tempo passato in pace a casa nostra».

Il protocollo appena firmato si pone tre obiettivi: contrastare il traffico illegale; prevenire i flussi irregolari e accogliere chi ha diritto alla protezione internazionale.
«Esatto».

Può servire come esempio per pensare alla miglior soluzione migliore possibile in tema di migrazione verso l’Europa? Come si può superare il Trattato di Dublino?
«Questione abbastanza complicata. Non credo che stia a me o all’Albania dare risposta a queste domande difficili. Quello che posso dire è che chiaramente il problema è enorme, specie se si rimane prigionieri di vedute di altri tempi: più si pensa al passato, più si rischia di arrivare al punto che sarà troppo tardi per riparare a danni, che possono essere gravissimi per l’Europa come la conosciamo e come la vogliamo per i nostri figli».

Ci sono altre migrazioni, in Europa, profughi da guerre terribili: masse di ucraini e palestinesi in cerca di asilo, per esempio...
«Lasciatemi dire che quelli che scappano per le loro proprie vite hanno solo un nome: esseri umani che hanno lo stesso diritto di vivere la vita che gli ha dato il Nostro Signore. Ma, purtroppo, per gli ucraini, (bianchi e cristiani, per dirla tutta) questo diritto e stato è riconosciuto più facilmente che ad altri, da paesi europei che non nascondono la loro ferma posizione di chiusura verso profughi di altra religione e colore. D’altra parte, non è che a paesi apertissimi a tutti - per esempio la Svezia sia andata liscia con i profughi di tutti i colori e religioni, accolti da sempre a braccia aperte».

E Lei cosa suggerisce?
«È sempre più chiaro che si dovrebbe trovare una via di mezzo. Ma qui si torna alla domanda di prima, e francamente mi sento incapace di pretendere ad avere buone risposte per domande scomodissime! Per fortuna, non sono nei panni di quelli che devono decidere a livello europeo e così seguo umilmente il consiglio di Santa Teresa d’Albania, “invece di maledire il buio accendi una candela” e questo ho cercato di fare anche in questo caso».

Lei conta sull’Italia per accelerare l’ingresso dell’Albania in Ue?
«Sempre. E mai l’Italia è mancata a questo appello!».

Il conflitto Israele/Hamas rischia di far bruciare il mondo. Come trovare una soluzione?
«Si tratta di una tragedia colossale che ha delle radici troppo profonde, purtroppo! Non ho mai visto in vita mia - credo di non essere il solo che ha visto - un attacco cannibale, e di proporzioni allucinanti come quello del 7 ottobre. Mi è impossibile accettare con la mia logica, che quell’orgia e carneficina, sia stata non solo pianificata ed eseguita a sangue freddo, ma anche filmata da centinaia di cellulari».

La logica del massacro bestiale, casa per casa, 2.0.
«Tutto questo è come un film girato sui tempi più bui dell’umanità. E, non solo per spargere sangue innocente e infliggere i più profondi dolori a famiglie, donne e bambini; ma per terrorizzare il mondo intero (e dividerlo profondamente), nel nome del non-diritto di Israele di esistere. Tutto il resto è molto più complicato di questo, ma se non si parte da questo mi sembra difficilissimo riuscire a non sbagliare la presa di posizione».

La sento pessimista.
«La mia sensazione è che andrà peggio prima di andare meglio, ma alla fine niente sarà come prima e la forza della pace prevarrà su tutte le altre forze. Purtroppo con costi inimmaginabili fino al 7 di ottobre!».

Tra lei e Giorgia Meloni il legame appare profondissimo. Come è nato il suo rapporto con la nostra presidente del Consiglio?
«Come con tutti i premier italiani prima di lei: a prima vista! A parte gli scherzi: è vero quello che dico: tutti grandi amici dell’Albania, con tutti tutto sempre bene. E, comunque, guai dare per scontato che l’Italia e i suoi premier ci siano sempre quando si tratta dell’Albania...».

Mettiamola sulla predizione politica. Su quali leader europei il mondo dovrà contare nei prossimi anni? La Meloni – come affermano in molti - può diventare la nuova Merkel?
«Non lo so. Una Merkel italiana sembra una contraddizione concettuale in partenza: ma Giorgia ha tutto per fare bene e io mi auguro che faccia benissimo per l’Italia e per l’Europa».

E cosa diventerà Edi Rama?
«Io spero di non diventare noioso, per il resto faccio del mio meglio, essendo sempre più conscio dei miei difetti e sempre meno sicuro dei miei pregi...». 

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