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Chiara Ferragni, il soccorso rosso di Bersani e Boldrini

Francesco Storace
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Falce e Pandoro come emblema del “nuovo” Pd. Ormai al Nazareno sono persino più avanti del già logoro partito della Ztl. Raccolgono firme (pure fasulle) per il salario minimo ma si preoccupano di più per i milionari che fanno beneficenza soprattutto a se stessi. Bravi i personaggi del Pd, che hanno sotterrato le loro radici. Sono diventati irriconoscibili, non hanno neppure più la forza – né il diritto – di salutare col pugno chiuso. Difendevano gli operai, ora si schierano con gli influencer più danarosi.

Compagna Chiara Ferragni, al tuo segnale scateneremo l’inferno è la nuova parola d’ordine della nomenklatura di fronte agli iscritti sbigottiti. Ed eccoli schierati, a difesa del forziere. Nessuno tocchi Caino e nemmeno la moltitudine di euro che rende felice Chiara (and family). Sono pronti alle barricate per il diritto al lusso (cit. Soumahoro) e continuano a fare da servizio d’ordine ai Ferragnez. Per carità, se uno guadagna lecitamente quattrini, nulla quaestio. Piuttosto stupisce che la missione difensiva si sia infilata nelle corde della sinistra politica e mediatica. «È dei nostri, e Chiara non si tocca». Spettacolare martedì sera Pierluigi Bersani da Floris. In altre trasmissioni lo ricordavamo più attento ai salari bassi dei lavoratori, ma il caso Ferragni lo ha trasformato in legale dell’influencer inciampata su qualche denuncia fastidiosa.

 

 

 

L’occasione gliela forniva il discorso di domenica scorsa della Meloni ad Atreju. «Se il capo del governo attacca un cittadino, non è una critica, ma una bastonatura». E te pareva che il compagno Pierluigi non intonasse la solita musica. Potrebbe chiedere di recitare una parte acconcia nella sua nuova recitazione cinematografica. Più scontata, ripetitiva, e diciamolo noiosa, Laura Boldrini, che per difendere il milione alla Bonaventura che Chiara Ferragni garantisce di voler restituire in chissà quale beneficenza, si è messa a giocherellare con i soliti 49 milioni “di Salvini”. Ovvero, su un’inchiesta che ormai è chiusa da tempo, mentre quella su Pandoro e uova di Pasqua rischia di aprirsi con effetti piuttosto imbarazzanti. Soprattutto perché ferisce gravemente chi hanno deciso di elevare a figura di riferimento.

 

 

 

Ma l’exploit lo raggiunge La Stampa, che ospita in una pagina dedicata al caso Ferragni un commentone intitolato «da icona a nemico nazionale». Per Laura Rodotà è il triste destino di Chiara, messa nel mirino da una destra che – dice lei- vuole le donne zitte e buone. Nemmeno la sfiora che ci sia il rischio di una truffa. Metodo Ferragni, così è intitolata la paginata in cui la Rodotà firma un pezzone per dire che si attacca la Ferragni perché è una donna emancipata: «È riuscita a diventare multimilionaria, è famosa in mezzo mondo, è la nuova icona nazionale del consumo vistoso, ha appena inaugurato un attico gigante con guardaroba più grande della casa di quasi tutti. E tra un panettone e l’altro fa dichiarazioni femministe, va in piazza contro la violenza, ha un marito che si esprime molto, anche lui. Può diventare una nemica di chi guadagna poco o niente e non apprezza la sua ostensione di alberghi stralusso ville sul lago gite in elicottero etc. E di chi vorrebbe le donne al loro posto e non ne sopporta l’imprenditorialità lombardona». Capito: se poi ti succede che fai beneficenza intascando un mucchio di soldi poco importa.

 

 

 

Chissà se la Rodotà ha anche letto il pezzo nella stessa pagina sulla denuncia di Selvaggia Lucarelli contro Chiara Ferragni. Ma la morale è sempre la solita. Lasciate in pace i “nostri”, di cui restiamo orgogliosi anche quando fanno sciocchezze indicibili. Da comunisti col Rolex a comunisti col pandoro, è la trasformazione di una sinistra che chissà dove ha messo a stendere le antiche bandiere rosse. Bersani difende la Ferragni e attacca la Meloni. Ancora una volta, la sinistra sta dalla parte dei milionari, in questo caso milionari che hanno rifilato una pataccata agli italiani, e se ne sbatte della vera solidarietà. In poche parole, è un comunismo che non conoscevamo e la domanda che ci viene è chissà se Enrico Berlinguer avrebbe mai difeso l’influencer con le sue uova di Pasqua. 

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