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Sinistra rimasta senza colonna sonora, ora prova a rimettere il colbacco a De Andrè

Luca Beatrice
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Alla sinistra si sta sgretolando pure la colonna sonora, quella del cantautorato degli anni ’70 che causa embargo delle rockstar straniere spaventate dalla situazione politica italiana si prese l’intera ribalta. Si d’accordo La locomotiva, Il bombarolo, “hanno ammazzato Pablo, Pablo è vivo”, ma in genere si tratta di canzoni d’amore, e l’amore è di tutti, come la storia “nessuno si senta escluso”. Così, Francesco Guccini recentemente ha dichiarato di non essere mai stato comunista, «tutti credono che lo sia ma non è vero», al massimo anarcoide e di rosso amava piuttosto il vino. Giorgio Gaber, vent’anni dopo la morte, hanno tentato di riprenderselo (ne abbiamo parlato nei giorni scorsi), di nascondere la moglie berlusconiana, e invece il signor G era stato un piccolo borghese moralista e censore col dito puntato contro i difetti della sinistra. Francesco De Gregori, cacciato a suo tempo dal palco dagli autoriduttori, non a caso lo chiamano principe, insieme ad Antonello Venditti ha macinato chilometri di concerti all’insegna dei buoni sentimenti.

Quanto al mio amato Renato Zero, lui di politica non ha mai voluto sentir parlare, cattolicissimo peraltro e benpensante, e accostare Vasco Rossi alla sinistra è come bestemmiare in chiesa, lui al massimo andava in Messico e da Marco Pannella. Il trauma più grande, però, è appena arrivato: Fabrizio De André reclamato a destra, sarà uno scherzo? E invece no, ormai sta passando la logica corretta che le belle canzoni sono di chi le ascolta, ciò che ha sempre sostenuto Mogol quando lo accusavano, lui e Lucio Battisti, di essere nostalgici fascisti per colpa di versi come “planando sopra boschi di braccia tese” e “o mare nero” e lui a spiegare che si tratta semplicemente di parole e note che abbiamo cantato tutti, ma proprio tutti.
Ieri il sottosegretario alla cultura Gianmarco Mazzi, ricordando il venticinquesimo anniversario della scomparsa di Faber lo ha definito come «un artista immenso, un grande poeta della musica italiana» a cui dedicare un evento di tributo che si terrà a Genova nel prossimo giugno, in collaborazione con il ministero della Cultura, la Rai, la Fondazione De André e Dori Ghezzi. «Canzoni che fanno parte della nostra identità - ha sottolineato il ministro Gennaro Sangiuliano - un gigante della nostra cultura popolare che ha lasciato un’eredità musicale che continua a ispirare giovani artisti». Per il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti e il sindaco Marco Bucci quello della prossima estate sarà un momento indimenticabile per Genova.

 

 

Più che di un caso di “appropriazione indebita” da parte del centrodestra schierato compatto a reclamare come propria la poesia di De André, si tratta di portare alla luce un dato inconfutabile: nonostante le aspre divisioni ideologiche, l’essere costretti a stare da una parte o dall’altra anche a seconda della musica che si ascoltava, alcuni autori sono entrati nell’italico dna, e non è vero che chi cantava Questo piccolo grande amore si rifiutava di imbracciare la chitarra per La canzone di Marinella. Sono menate che a lungo hanno voluto farci credere ed erano totalmente campate per aria. In quanto a De André, difficile leggerlo organico al PCI o alla sua sinistra. Di provenienza alto borghese, ricco di famiglia, Faber aveva un carattere difficile, misantropo, arrogante, altezzoso, alcolista, talvolta violento, spesso depresso, non amava il pubblico e detestava esibirsi in concerto (ci pensò la PFM a tirarlo fuori dal guscio), era uno che se stava volentieri per i fatti suoi e non ha mai rivestito i panni del capopopolo, indifferente alle vicende di quel proletariato che spuntava qua e là nei suoi testi.
Opinione non solo di chi scrive, per decretare De André grande artista bisogna aspettare l’undicesimo album, Creuza de Ma, uscito nel 1984, un lavoro fuori dall’ordinario, cantato in ligure e aperto a sperimentazioni “world music” che lasciò incantati sia Peter Gabriel che David Byrne, prodotto e arrangiato da Mauro Pagani, l’uomo che spinse De André a sondare nuove frontiere sonore.

 

 

Però attenzione alle date, esattamente dieci anni prima, nel 1974, mentre il cantautore genovese usciva con Storia di un impiegato, Lucio Battisti compì una rivoluzione epocale pubblicando Anima latina, dopo un viaggio in Brasile con Mogol, un LP ricco di sperimentazioni sonore e vocali, senza nessuna hit, caraibico e mediterraneo, insomma un capolavoro, l’ennesimo capolavoro. Ecco, il mondo andrà davvero per il verso giusto quando a sinistra riconosceranno la piena grandezza di Lucio Battisti, tributando gli onori del caso a un uomo che ha sempre giocato in anticipo. Per noi individuare Fabrizio De André tra le punte massime della musica italiana oltre qualsiasi lettura partitica è assolutamente ovvio, non si rodano dentro, che anche se ci piacciono le stesse cose restiamo intimamente diversi. 

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