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Giorgia Meloni da Enrico Berlinguer: il suo omaggio è la vittoria della politica

Giovanni Sallusti
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In principio fu Giorgio. Almirante, certo, Almirante stretto nel suo abito grigio e nella sua sincerità parossistica, Almirante con la testa china e le labbra serrate, Almirante alle Botteghe Oscure davanti alla bara di Enrico Berlinguer. L’archetipo del riconoscimento dell’avversario, secondo la vulgata, in realtà qualcosa di più, e di meno afferrabile, la testimonianza controintuiva che proprio là dove c’è politica vera, densa, professionale, perfino a volte là dove c’è ideologia (e sia lo scomparso che colui lo omaggiava traboccavano, di questo materiale novecentesco), può a volte luccicare l’eccezione umana, lo scarto personale, il dramma del singolo di cui parlava l’impolitico Kierkegaard.

Per cui ha cento volte ragione Antonio Padellaro, sul Fatto di ieri: è passato troppo trasversalmente sotto silenzio l’omaggio che Giorgia Meloni (attualizzando la lezione almirantiana, in questo caso lo si può dire senza che le prefiche dell’antifascismo emettano gridolini strumentali) ha reso alla figura e alla storia di Berlinguer. Il contrario di un omaggio banale: la premier ha visitato la mostra dedicata all’ultimo grande capo carismatico del Pci negli spazi del Mattatoio a Testaccio.

 

 

IL RACCONTO DI UNA STORIA
A fare da Virgilio in questo viaggio nella memoria Ugo Sposetti, ex tesoriere dei Ds, purissima scuola di realismo comunista, la sinistra che aveva una visione del mondo e sapeva prosaicamente come alimentarla, la sinistra che frequentava, e disegnava, la politica. E non per caso il messaggio lasciato dalla Meloni sul libro dei visitatori recita: «Il racconto di una storia, politica. E la politica è l'unica possibile soluzione ai problemi». Sembra un velleitarismo retrò, al tempo della bulimia social, dell’estemporaneità furbastra dei meme, della tendenza di giornata che ingoia e digerisce qualunque piattaforma di partito. Eppure, ha ancora ragione Padellaro: composto dalla presidente del Consiglio, questo messaggio è uno squarcio nello spartito preconfezionato, è perfino una notizia, è qualcosa che rompe «i codici di una narrazione a senso unico», quella che a spanne ha sostituito la politica con il wrestling. Per cui il punto è diventata la mossa più spettacolare, la missione è lasciare a terra l’avversario. Che poi tutto odori malinconicamente di artefazione, che tutto suoni posticcio e soprattutto sterile, amen, è la morte delle ideologie, bellezza. Quanto mai sacrosanta, ma anche troppo confusa con la morte della politica. No, è l’equivoco letale in cui s’inserisce Meloni, «la politica è l’unica possibile soluzione ai problemi».

 

 

SCIENZA ARCHITETTONICA
Per questo in Occidente, dai tempi di Aristotele, è una “scienza archittetonica”, ovvero un sapere che utilizza gli altri saperi, settoriali, come mattoni di una costruzione, la polis. È il governo come tecnica, prima ancora che come arte, è qualcosa che quel vecchio Pci conosceva a memoria, pur mettendolo al servizio dell’incubo totalitario, ed è questa consapevolezza comune che, crediamo, Meloni ha voluto omaggiare con quelle due righe così salienti. Fuori dalla politica c’è solo il movimentismo gruppettaro e puritano, qualcosa che il Pci e l’Msi tennero (quasi) sempre ai margini. Fuori dalla politica, per dare un nome odierno alle cose, c’è il millenarismo green, le emissioni zero e l’ultima generazione sulla Terra. Fuori dalla politica c’è la lotta al patriarcato delle desinenze, la schwa come sostituta simbolica della fabbrica.
Fuori dalla politica, ovviamente, c’è l’antifascismo prêt-à-porter in assenza di fascismo, un controsenso già archiviato dal comunista di ferro Togliatti, padre dell’amnistia ai quadri del regime, quindi molto più moderno di qualunque componente della segreteria Schlein.

POLITICA O ODIOGRAFIA
Fuori dalla politica, anche qui occorre non distogliere lo sguardo dalla ricognizione di Padellaro, ci sono anche certi automatismi a destra, la scorciatoia facilona di definirsi sempre per mera antitesi ai progressisti, la tentazione perenne di buttarla in caciara contando sulla latitanza dell’avversario (che non durerà per sempre, peraltro). È esattamente quello di cui fa piazza pulita il messaggio della Meloni, la sua integrale rivendicazione dell’indispensabilità della politica. «Non raccogliere quel gesto sarebbe un’occasione persa per tutti», dice Padellaro. Vero, in primis per il direttore del giornale su cui scrive, che ha sempre preferito la demolizione giudiziaria all’architettura politica, vien da malignare. Ma sono davvero inezie, quel che conta è la vera discriminante. Chi quel giorno sarebbe stato a capo chino a fianco di Almirante, e chino. La politica o l’odiografia, ognuno scelga. 

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