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Se ora la sinistra si inventa anche il reato di sviluppo

Giovanni Sallusti
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Per afferrare il tasso di qualunquismo giustizialista dell’ultima iniziativa portata avanti dal Pd schleiniano e dalle sue appendici più folkloristiche (i rossoverdi di Fratoianni-Bonelli), vi basti sapere questo: è qualcosa da cui si è dissociato perfino Giuseppe Conte. L’idea da un certo punto di vista è geniale, mira a rendere definitiva l’abdicazione della politica, a sottrarle il suo carattere principale, quello di immaginare il futuro, progettare lo sviluppo. Ecco, i (presunti) progressisti contemporanei ieri hanno valicato il punto di non ritorno, si sono inventati il reato di sviluppo. I tre hanno infatti annunciato di aver presentato alla procura di Roma un esposto contro il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. Quindi, nei fatti, contro il padre politico e ministro competente, Matteo Salvini. Che sarà ormai abituato alla traduzione dei propri atti di governo in dibattimenti penali (vedi il surreale caso Open Arms, in cui deve rispondere di aver governato i flussi migratori).

 


Ma qui c’è un salto di qualità ulteriore: un’infrastruttura-chiave dell’agenda dell’esecutivo, una grande opera cruciale per l’idea di sviluppo di chi ha ricevuto il mandato popolare, diventa non oggetto di una dura e legittima offensiva dell’opposizione in Parlamento, nell’opinione pubblica, nell’agone della polis (questa sarebbe la democrazia dell’alternanza), bensì ipotesi di reato. Questa, infatti, è la democrazia secondo Elly: «L’alternativa a questo governo si costruisce tutti insieme». Magistrati compresi, anzi magistrati in primis. «Il progetto del Ponte è sbagliato, anacronistico, dannoso e dispendioso. Abbiamo deciso di firmare insieme un esposto, per vederci chiaro», tuona la segretaria temporaneamente ridestata dal letargo. A illustrare i cavilli in cui bisogna «vederci chiaro» è un grigio apparatchik appena riverniciato di green come Bonelli. «La prima ragione è che il governo ha deciso la caducazione di un contenzioso con il consorzio Eurolink per 700 milioni di euro». È questo il punto ovviamente, la caducazione, non l’ammodernamento del Mezzogiorno che Bonelli ha invocato fino a mezz’ora prima. «Inoltre», prosegue indefesso «siamo stati spinti dalla preoccupante reticenza della Società Ponte sullo Stretto e del governo a rendere pubblici documenti cruciali per una piena comprensione delle procedure che hanno riguardato il progetto».

 


Il bello è che avrà anche ragione, ci sarà sicuramente qualche “procedura” che va ancora e sempre «compresa pienamente», è su questo che è inchiodata l’Italia, è su questo che si è sempre arenato il Ponte, sul burocraticismo declinista. Possiamo tranquillamente andare avanti così, e andare avanti a montare retorica su un Paese a doppia velocità, un Meridione figlio di un Dio minore, la carenza infrastrutturale, eccetera. Infatti arriviamo al dadaismo (il)logico di Fratoianni, che spiega (per modo di dire): «È curioso che la Lega, mentre spezza l’Italia con l’autonomia di Calderoli, si fa campione di unità con il Ponte. Ma è un’unità fittizia, per la sottrazione indegna di risorse al Mezzogiorno».

 

 

Ricapitolando: l’autonomia non va bene, l’unità neppure. È il miglior compendio dell’apriorismo ideologico della nuova-vecchia sinistra: il problema è all’origine, riguarda l’esistenza e il diritto a governare del centrodestra, non a caso si chiede l’intervento dei tribunali. È questa la compagnia in cui Elly ha intruppato un partito pur pallidamente riformista come un tempo era il Pd. E infatti qualcuno non ci sta. Niccolò Sabatini, assessore comunale a Cascia (Perugia), ha preso a sberle su Facebook il declinismo schleiniano: «Questo non è il mio Pd. Questi signori, che vivono probabilmente con la metro sotto casa, o peggio che magari hanno l’autista o si muovono col taxi, non si rendono conto di quanto l’Italia delle aree interne e meridionali abbia un gap infrastrutturale enorme rispetto al mondo realmente avanzato». Conclusione inevitabile: «Questi tre sono l’esatto motivo per cui continuiamo a perdere le elezioni». L’editoriale perfetto. 

 

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