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Michele Emiliano, il prediletto di D'Alema scelto dalle Procure

Annarita Digiorgio
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Michele Emiliano diventa sindaco di Bari scelto da Massimo D’Alema direttamente dagli uffici della procura. Era il 2004. Sicuramente sarà un caso che da qualche anno l’allora pm Emiliano indagasse sulla “missione Arcobaleno” che l’allora premier D’Alema aveva organizzato da Palazzo Chigi per mandare aiuti umanitaria dopo la guerra del Kosovo. Alcune inchieste giornalistiche rivelarono che al molo del porto di Bari marcivano 679 container pieni di aiuti mai spediti. Michele Emiliano aprì un fascicolo. Indagando su diversi uomini di governo, Cgil, Ds e fedelissimi di D’Alema. Appena si aprì la finestra per le amministrative a Bari, D’Alema lo candidò sindaco nei Ds.

Parte da qui l’ascesa politica del pm Emiliano, che non ha mai lasciato la magistratura «perché se un giorno smetto di fare il politico voglio continuare ad avere un lavoro». Questa scelta però gli è costata il divieto, da parte della Corte Costituzionale e Consiglio di Stato, di partecipare a vita di partito. Anche se Emiliano aggira comunque quest’obbligo costituzionale, presenziando agli eventi Pd senza tessera. E i paladini della costituzione muti. Dopo i due anni da sindaco, Emiliano giura che non si candiderà mai presidente di Regione. Il mandato a Palazzo di Città scade nel 2014. Lui si fa nominare assessore alla Legalità al Comune di San Severo per mantenere l’aspettativa dalla magistratura.

 

 

 

L’anno dopo si candida alle primarie per la regione. Sfidando il compianto Gugliemo Minervini e Dario Stefano, il candidato di Vendola. Alla vigilia dei gazebo Emiliano fa un accordo con l’Udc, e Vendola minaccia di far saltare le primarie. Batte Antonella Laricchia, candidata l’ex sottosegretario di Forza Italia Massimo Cassano diventa presidente di Arpal, l’ex sindaco di centrodestra Di Cagno Abbrescia presidente di Acquedotto Pugliese, l’ex sindaco di Bisceglie Spina nel cda di Innovapuglia, ecc. Non tutti faranno una bella fine. È lungo l’elenco dei fedelissimi di Michele Emiliano che, proprio per il ruolo in cui lui li aveva nominati, verranno accusati per corruzione e tangenti. Sempre però allo scuro del governatore. Il caso più eclatante è quello di Mario Lerario, il braccio destro di Emiliano da lui nominato capo della protezione civile regionale, e quindi responsabile di tutti gli appalti in stato di emergenza. Lerario ha preso due condanne per corruzione in primo grado proprio per tangenti sugli appalti legati all’emergenza migranti e alla pandemia. Il caso dell’ospedale covid costruito in fiera del levante, con un appalto lievitato a 25 milioni di euro, per solo un annodi attività, non è ancora stato risolto. Emiliano aveva promesso ai pugliesi che non sarebbe mai stato smantellato, ma riutilizzato in ogni sua parte. Da tre anni invece ormai i padiglioni giacciono in uno stato di abbandono, mortificando anche l’evento fieristico, e servono altre centinaia di milioni per smantellare le attrezzature.

 

 

 

Prima che arrivasse l’inchiesta, forse avendone sentito l’odore, il professor Pierluigi Lopalco, che Emiliano aveva chiamato come assessore alla sanità propria per gestire la pandemia, si dimise. E accusò pubblicamente Emiliano di trasformismo e clientelismo. Al suo posto il governatore chiamò come attuale assessore alla salute Rocco Palese, già senatore di Forza Italia e candidato governatore nel 2010 contro Vendola. Ora ben saldo alla corte di Emiliano. Senza che il Pd si scandalizzi, mentre poi per vincere le elezioni urla all’arrivo delle destre. Nel frattempo anche i 5 Stelle, dopo essersi candidati alle ultime regionali contro Emiliano, sono passati in maggioranza. Tradendo il mandato elettorale. Del resto Emiliano è l’antesignano del campo largo, che auspicava sin da quando si candidò alla segreteria del Pd contro Matteo Renzi.

 

 

 

Il congresso finì male per il ras delle Puglie, ma Renzi gli consentì di costruirsi in autonomia le liste del collegio pugliese per il parlamento, inserendo Ciccio Boccia e gli altri suoi giannizzeri. Per quelle primarie è finito anche a processo a Torino con l’accusa di finanziamento illecito. Alla fine è stato condannato in primo grado il suo allora capo di gabinetto e ora parlamentare Pd Claudio Stefanazzi, e il re della ristorazione pubblica Vito Ladisa. Accusato di aver pagato un’agenzia per la campagna elettorale di Emiliano, a sua insaputa. A tale spregiudicatezza tattica, fa da contro altare un altrettanto elevato populismo ideologico.

Emiliano per salire ai riflettori nazionali, e accontentare l’elettorato, in tutti questi anni ha cavalcato idee populiste superando persino i grillini. Da tap a Ilva, dalle trivelle alla xylella, la Puglia è stata protagonista durante il suo mandato di importanti vertenze di interesse nazionale. E lui si è sempre schierato contro la scienza e seguendo la pancia dell’elettorato, ritardando e ostacolando lo sviluppo della Puglia e della Nazione.

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