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Pd, faida sotto la mole: guerra tra due clan, Schelin in ostaggio dei portavoti locali

Pietro Senaldi
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Dove sta Sasà? Qui a Torino un po’ dappertutto. E dove non c’è lui, c’è il Mauro. Ci sono un calabrese e un lucano, ma non è una barzelletta. Sono i due capi dei clan politici che comandano il Pd piemontese, molto più di quanto non faccia Elly Schlein, che in città si è vista un paio di volte, quando proprio non poteva mancare.

Per definire il peso che la segretaria ha in riva al Po, basta riflettere sul fatto che ha provato a candidare alla guida della Regione la sua protetta, Chiara Gribaudo da Cuneo, vicepresidente dei dem, ma i caporioni locali le hanno fatto capire che avrebbe perso le primarie contro il loro prediletto, Daniele Valle. Uno sconosciuto, fuori dal circondario e anche dentro, ma che avrebbe vinto grazie ai signori delle tessere. Morale, la segretaria di Occupy Pd, la donna che doveva ribaltare il partito, la mitica ClarabElly, è dovuta scendere a patti e convergere su Gianna Pentenero, una brava donna, una sinistrata che ha come principale merito, oltre ad aver capito che Schlein avrebbe vinto le primarie e averla sostenuta all’ultimo, quello di essere stata il sindaco più giovane d’Italia, negli anni Novanta, a Casalborgone, 1.800 abitanti. Su questo ha costruito una mezza carriera, prima consigliere regionale nel listino bloccato del Pd, quindi assessore all’Istruzione.

Patti con i cacicchi, a Torino come a Bari, dove la segretaria, per ripulire il partito dai compratori di voti, sostiene la candidatura di Vito Leccese, dieci anni capo di gabinetto in Municipio di Michele Emiliano e dieci di Antonio Decaro. Dalle Alpi al Tacco d’Italia, non ci siamo: lei ci mette la faccia, parla, ma il partito resta in mano alla solita gente; e intanto fioccano le inchieste.

 

Già, perché non bisogna mica credere che quella che vede indagato Salvatore Gallo e arrestato Roberto Fantini, ex presidente di Sitalfa, concessionaria della A32, la Torino-Bardonecchia, l’autostrada più cara d’Italia, per peculato, corruzione elettorale ed estorsione, sia un’inchiesta che sorge dal nulla. È solo l’ultima di una serie. Riguarda il sistema di potere dei Gallo, più o meno riconducibile all’associazione IdeaTo, un cartello socio-cultural-politico capace di fare favori e chiederne conto. Raffaele, il figlio di Sasà, era capogruppo dem in Regione fino allo scoppio dello scandalo giudiziario. Si è dimesso e gli è saltata la ricandidatura, ma è riuscito a piazzare come assessore al Bilancio e all’Istruzione della Città Metropolitana Caterina Greco, politica per la quale, secondo l’ordinanza dei pm, Sasà chiedeva i voti, oltre a tre consiglieri comunali e cinque presidenti di circoscrizione. Tutte poltrone che il Pd gli ha dovuto concedere perché i Gallo portano consenso. Come gli è riuscito di far nominare Fantini presidente dell’Osservatorio sulla Corruzione e Trasparenza negli appalti. Questa sì, una barzelletta.

Ai Gallo è andata male solo con l’assessorato al Bilancio di Torino. Loro lo hanno chiesto e il sindaco, Stefano Lo Russo, si vanta di avergli risposto: «Ho bisogno di uno competente». La prescelta, la Greco appunto, una maestra, non se la sente e rinuncia; lei, non lui. Però va al Bilancio lo stesso, ma della Città Metropolitana.

 

Sulla base della richiesta di metterci qualcuno che ci capisce, la sinistra e i suoi media sono partiti con la santificazione di Lo Russo, che ieri in consiglio comunale si è rifiutato di rispondere alle domande dei Cinquestelle, negando loro perfino la possibilità di porle, con la giustificazione che c’è un’inchiesta in corso. Una tecnica omertosa, oltre che un buon stratagemma per evitare i titoli dei giornali, visto che i grillini lo avrebbero inchiodato sulla questione morale.

Perché, per esempio, il sindaco senza macchia né paura sopporta da oltre un anno come presidente del Consiglio Comunale la piddina Maria Grazia Grippo, indagata per malversazione e truffa, senza mai aver sollevato una parola sulla questione? E perché ha accettato, e si è tenuto, come assessore allo Sport e ai Grandi Eventi Mimmo Carretta, indagato con la Grippo e con lei ex dipendente della Rear, società cooperativa che organizza manifestazioni in città, occupandosi anche di sicurezza, malgrado un conflitto d’interessi gigantesco, aggravato dall’inchiesta?

Ma perché la Rear è la società di cui è presidente il lucano, Mauro Laus, il parlamentare torinese più potente, indagato con i suoi ex dipendenti ma anche per utilizzo improprio di proventi derivanti della commesse pubbliche, che sarebbero in parte stati destinati a scopi politici.

Un procedimento ancora aperto ma del quale non si sa più nulla. Laus e Gallo sono rivali in affari politici, ma più per posa che per altro. Sostenevano entrambi Stefano Bonaccini, e forse a causa loro a Torino le primarie dei non tesserati le ha vinte la Schlein. Sasà portava con i pullman gli elettori a votare Fassino alle primarie per le Comunali, che l’ex segretario perse contro la grillina Chiara Appendino.

Laus ha sostenuto Raffaele Gallo per la presidenza del Consiglio regionale, caso raro in cui la maggioranza, che in Piemonte è di centrodestra, non ha sostenuto il candidato dell’opposizione, che è passato solo con i voti dem. La sensazione di chi conosce bene il partito in città è che poco cambierà. La Schlein dovrebbe commissariarlo, ma sotto elezioni sarebbe una pessima pubblicità e un regalo per le Europee ai concorrenti di M5S. E poi chi ci mette? Domenico Rossi, il segretario regionale, che non ha scelto lei, è passato dalla sua parte ma non ne ha la forza; e poi è ancora prigioniero del sogno di un’alleanza con i grillini, che invece nel breve periodo sono i rivali numero uno.

La previsione è facile: ora che i Gallo sono stati parcheggiati ai box dalla magistratura, tutti i loro si sposteranno con Laus, che ha problemi giudiziari ma ben nascosti sotto il tappeto. E ad Elly a Torino, come a Bari, non resterà che sostenere quello che “la Ditta” le servirà nel piatto e provare a spiegare che è bello, nuovo e gustoso.

D’altronde il sistema Torino è troppo radicato per essere spazzato via con un paio di inchieste, anche se ben assestate. Gallo e Laus non hanno lavorato solo sugli assessori e i presidenti dei consigli, comunale e regionale. Ci sono i revisori e i sindaci delle partecipate, gli incarichi nella sanità. Tutti affidati a persone “della legge”, come si dice a Torino. Ma non è la legge che pensiamo noi, bensì quella del clan.

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