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Gianrico Carofiglio, il Pd vuole candidarlo ma rischia di bruciarlo

Pietro Senaldi
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Gianrico il fico; non nel senso del frutto bensì in quello del Fonzie del Tavoliere. A chi ha simpatie per il centrodestra, ma probabilmente anche a più d’uno tra coloro che ne hanno per il centrosinistra, Gianrico Carofiglio difficilmente può stare simpatico. Trasmette un’aria da “so tutto io”, che viene fatalmente confermata ogni volta che apre bocca e, con ragionamenti e toni metallici quanto inappellabili, si erge due palmi sopra l’interlocutore, quasi sempre cecchinandolo spietatamente.

Beninteso, la logica è ferrea però tradisce la formazione professionale dell’uomo, che tanti, tanti anni fa era un pm, collega dell’attuale governatore pugliese Michele Emiliano, quello che ha la giunta che ha svariati problemi con la giustizia. Il suo eloquio nei dibattiti è una sequenza di j’accuse, però alquanto partigiani. È, nella sua nuova dimensione e non già in quella che aveva in magistratura, un pm all’americana, di quelli che vedono solo le ragioni dell’accusa e l’interesse della propria parte, e sono poco interessati all’indagine della verità oggettiva, come dovrebbero essere invece quelli italiani, e talora lo sono, obbligati a tenere in conto anche le attenuanti di chi perseguono. È questo il suo punto debole. Per il resto, cosa gli vuoi dire? È uno di quegli uomini ai quali riesce quasi tutto quello che fa. Pratica arti marziali, e naturalmente è cintura nera. Si laurea in giurisprudenza e spacca l’esame da magistrato. Si interessa di politica e Walter Veltroni lo paracaduta in Senato per il Pd. Decide di scrivere libri e ne vende oltre sei milioni, divenendo uno degli scrittori italiani di maggior successo, al punto che cinema e televisione attingono copiosamente alle sue opere.

 

 

 

TRA I DUE LITIGANTI...

Tra i dem però, c’è chi non gli vuole bene. Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che il partito stia valutando, ma probabilmente anche un po’ insistendo, di candidarlo sindaco a Bari, città natale di Carofiglio, al quale lo scrittore, benché viva a Roma da anni, è ancora molto legato e dove ambienta i suoi noir e conserva buona parte della famiglia. Il capoluogo pugliese, si sa, è ormai il teatro principale dell’offensiva di Giuseppe Conte a Elly Schlein; è il luogo dove il leader grillino ha messo sotto processo i dem sulla loro bandiera ormai ammainata, quella della legalità e della questione morale. Il tutto per sottrarre al Pd un buon pacchetto di voti in vista delle Europee di giugno. Lui sostiene l’avvocato Michele Laforgia, figlio dell’ex comunistissimo sindaco Leonida, come candidato in Municipio perla successione ad Antonio Decaro. Lei sta con Vito Leccese, capo di gabinetto in Comune da vent’anni e, inevitabilmente, con un’immagine scalfita dalle inchieste, che pure non lo hanno toccato concretamente. Tra i due litiganti, rischia di godere il candidato del centrodestra, soprattutto se al ballottaggio contro il salviniano Fabio Romito, che si presenta in ticket con il meloniano Filippo Melchiorre, dovesse andare Leccese, giacché è ormai un paradigma che l’elettore grillino non vota il candidato dem, specie se due settimane prima se l’è trovato contro. R

estano due settimane per tirare fuori un terzo nome, che metta d’accordo tutti. E chi meglio di un ex pm integerrimo per il repulisti in città preteso da Conte e invocato dalla Schlein? L’arma per incastrarlo è la mozione degli affetti, il richiamo della foresta, l’appello al senso di responsabilità verso la sua città allo sfascio, la speranza di solleticare il narcisismo del personaggio, che vagamente si intravede. Il guaio è che Gianrico è di sinistra, ma sinistra vera, però non è un fesso. Si è costruito una vita remunerativa e di successo, che gli consente di dispensare il proprio sapere dallo scranno alto del giudice e non dal banco della parte in causa e, soprattutto, di non doverlo neppure motivare. Chi glielo fa fare di sporcarsi le mani con il disastro barese, che oltretutto non ha minimamente contribuito a determinare? Ha 62 anni, sta come un Papa anzi, si vocifera che a chi gli ha offerto la candidatura a Bari abbia risposto proprio che attende quella al soglio pontificio -, si è rifatto una vita a Roma, pare non aspiri a essere risolutivo in un momento di caos come è quello in Puglia. E poi, dopo essere scappato dal Parlamento nel 2013, rifiutando la ricandidatura con idem, non gli conviene indossare una casacca politica. Intendiamoci, tutti sanno come la pensa, però pontificare di politica è meglio che amministrare in un ambiente ostile, di fatto senza l’appoggio del Pd né di M5S e tantomeno delle zattere pugliesi, i mitologici candidati accusati di scambio di voti che dal centro si muovono, secondo convenienza, a destra come a sinistra.

 

 

 

C’è infine il fattore Emiliano. Il governatore e lo scrittore, quando erano giovani pubblici ministeri, pare andassero d’amore e d’accordo. Poi dev’essere successo qualcosa e da tempo non si pigliano più. Sono entrambi due grandi pratici e hanno una nota di aggressività, per non dire di violenza, ma Gianrico è raffinato, psicologico e altolocato, è spietato con la lingua, mentre Michele è uomo de panza, burbero e grossolano, intimorisce anche fisicamente. E poi il primo è ideologico, non avrebbe mai fatto i compromessi con certa gente a cui è arrivato il secondo, che non bada a cosa pensa chi imbarca bensì a quanti voti porta, atteggiandosi a colui che allarga il campo della sinistra. Se uno sta in Regione e l’altro in Municipio, la mancanza di sinergia è garantita e le divisioni del campo largo barese ci impiegherebbero meno di tre mesi a riemergere, ancora più violente.

 

IL RUOLO DI VENDOLA

Sembrerebbe che tocchi a Niki Vendola farsi carico dell’ultimo tentativo disperato di guadagnare lo scrittore alla causa del compromesso storico barese, considerati i rapporti di stima reciproca che i due hanno. Affinità letterarie, visto che l’ex governatore arcobaleno si sente un po’ poeta e Carofiglio lo stima al punto da non avergli mai fatto una recensione. L’ultimo successo di Gianrico, uscito il mese scorso, è “L’orizzonte della notte”. Niki deve solo convincere l’amico a porsi la notte come orizzonte, perché questo significherebbe per lui diventare sindaco di Bari. L’impresa è proibitiva, malgrado l’opera in libreria abbia un che di crepuscolare che ben si sposerebbe con il tramonto dell’era Emiliano-Decaro.La trama, insolita, pare un presagio di quel che sarebbe avvenuto. C’è un delitto, e si parte sapendo già chi è il colpevole: una donna ha ucciso il marito-padrone della sorella, che si era ammazzata per la disperazione. Il protagonista, l’arcinoto avvocato Guido Guerrieri, punta sulla legittima difesa, e mentre la vicenda si snoda, va dall’analista per trovare conforto per un invecchiamento che non riesce ad accettare. Il suicida è la sinistra, che in Puglia si è ammazzata da sola. La vittima, che però è anche tanto colpevole, è il sistema Emiliano-Decaro. Il giustiziere è Conte, che però è tutt’altro che innocente. L’uomo che riflette sulla sua vita e deve salvare capra e cavoli è l’eroe del romanzo, Gianrico Carofiglio. Non farlo; non c’è lieto fine. 

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