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Ilaria Salis, il retroscena: perché lo scippo di Fratoianni mette nei guai Elly Schlein

Fausto Carioti
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Inventarsi la candidatura di Ilaria Salis. Lasciare che si gonfiasse di significato etico e politico: la prigioniera innocente maltrattata da Viktor Orbán contro la premier amica dell’aguzzino ungherese, narrazione meravigliosa per la sinistra dei diritti. E poi farsela fregare da Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Non era facile, però Elly Schlein c’è riuscita e ha fatto anche di più, così il 9 giugno se la ritroverà come avversaria, capolista nella circoscrizione del Nord-ovest, messa lì dai rossoverdi per prendere voti nello stesso bacino di elettori movimentisti e tardosessantottini in cui pesca il suo Pd. Massimo D’Alema, una della generazione che qualcosa aveva studiato, in questi casi citava una commedia di Terenzio: Heautontimorumenos, il punitore di se stesso. Punitrice, in questo caso. Se il Pd è una preda facile lo diranno gli italiani quel giorno, ma intanto gli altri si sono convinti che lo sia, e già questo significa qualcosa. Schlein è percepita come la leader debole di un partito vulnerabile dai suoi diretti rivali, che non sono Meloni, Salvini e Tajani, ma quelli con i quali sognava, e magari sogna ancora, di fare il campo largo. Il sistema elettorale proporzionale, che incentiva la competizione tra simili, spiega solo in parte le scene di questi giorni.

PIDDINI DIVERSI
I candidati di Bonelli e Fratoianni sembrano presi dalla lista dei sogni di Schlein, che anche diventando segretaria non è cambiata, è sempre quella che divenne famosa undici anni fa con OccupyPd, la mobilitazione della mejo gioventù indignata per la mancata elezione di Romano Prodi al Quirinale. Nelle liste dell’Alleanza verdi e sinistra c’è l’ex sindaco Mimmo Lucano, inventore del “modello Riace” simbolo dell’accoglienza degli immigrati, legali e non. Manco a dirlo, Schlein lo aveva contattato nei mesi scorsi, sperando che entrasse pure lui nel Pd. C’è Ignazio Marino, che infiniti addusse lutti ai romani, ma è tuttora un punto di riferimento per quegli italiani di sinistra che lo ritenevano un corpo estraneo e pulito in un Pd di affaristi: la categoria di elettori che ha fatto vincere le primarie a Schlein. E c’è Leoluca Orlando, il quale si porta appresso tutta la mitologia santoriana della “primavera di Palermo” e sino a pochi giorni fa stava nel Pd: capolista anche lui, come gli altri due ex sindaci e come Salis. Questa è la minaccia lanciata al Pd in nome della società civile e dell’antagonismo, ma non è l’unica.

 

 

Giuseppe Conte e i Cinque Stelle si sono ripromessi di spolparlo sventolando la bandiera della questione morale, e per questo ogni giorno rigirano il coltello nella piaga pugliese. Anche loro nella sostanza non sono cambiati, sono sempre quelli che cinque anni fa gridavano «parlateci di Bibbiano». Sul lato riformista il partito di Schlein non ha credibilità, e di certo non è lì che la segretaria contava di mietere voti, ma rischia comunque di cedere più del previsto, ora che Matteo Renzi, Carlo Calenda e gli altri possono fare campagna elettorale evocando il nome di Mario Draghi, possibile futuro presidente della Ue. A preoccupare i dirigenti del Pd, indipendentemente dalla loro affiliazione massimalista o migliorista (citofonare Bettini, Franceschini, Zingaretti...), è ora il combinato disposto di questi fattori, la tempesta perfetta. Il pericolo che alla perdita dei voti dei progressisti liberali si sommi quella, non prevista, degli elettori più a sinistra, attratti da chi li richiama con messaggi più chiari e nomi più forti, e che la battaglia contro l’astensione serva solo a portare qualche voto in più al M5S. Dove non si fanno problemi né ad accusare il Pd di essere geneticamente corrotto, né a manifestare simpatie per Putin e Hamas.

 

 

SETTE NOMI PER TRE POSTI
Per capire le fibrillazioni di questi giorni e avere un’idea di ciò che accadrà nel Pd dopo il voto di giugno, bisogna vedere la lista dei candidati nella circoscrizione Centro, che comprende Toscana, Umbria, Marche e Lazio. Lì, nel 2019, il partito guidato da Nicola Zingaretti prese il 26,8% e ottenne quattro seggi; stavolta nessuno si illude di fare il bis, già si ragiona come se gli eletti fossero tre. E a giocarsi il posto, dietro alla capolista Schlein, ci saranno pezzi da novanta come lo stesso Zingaretti, i sindaci Dario Nardella e Matteo Ricci, l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, l’ex parlamentare e sottosegretaria Alessia Morani e le due eurodeputate uscenti Camilla Laureti e Beatrice Covassi. Tolta la segretaria che rifiuterà il seggio, significa che ci sono sette candidati “forti” per tre posti: qualcuno si farà molto male e il giorno dopo ci sarà tanto da discutere. Come sull’apporto che avranno dato le figure imposte da Schlein nelle altre circoscrizioni: da Cecilia Strada a Lucia Annunziata alla “sardina” Jasmine Cristallo. Nessun terremoto, in compenso, è atteso dopodomani, quando si sapranno i risultati delle regionali in Basilicata. Ma solo perché nessuno, dentro al Pd, si illude che possa uscire qualcosa di buono dalle urne lucane.

 

 

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