Giuseppe Conte e l'autogol sulla libertà di stampa
Il personaggio è scaltro, sguiscia e si reinventa, strizza l'occhio a destra e poi cerca di scalare la sinistra.Ma soprattutto quando è necessario dimentica, omette. O peggio mistifica. Il soggetto in questione è Giuseppe Conte, il presunto “avvocato del popolo” che ha commentato con toni apocalittici il declassamento di cinque posizioni dell'Italia nella classifica di Reporters Sans Frontières sulla libertà di stampa, dalla 41esima alla 46esima piazza. «Al di là delle classifiche, sappiamo che il diritto all'informazione libera in Italia è sempre più compromesso. Fra editori impuri, leggi bavaglio per i giornalisti e concentrazioni nelle mani di pochi, il rischio crescente è il dilagare del pensiero unico, ossequioso alle forze dominanti, con lo svuotamento del diritto di critica e il sopravvento di una propaganda mascherata da libera opinione», filosofeggiava sui social.
Non ci spingiamo a bollarlo come impostore ma risulta impossibile non rimarcare la sua malafede, giacché al tempo dei governi Conte I e Conte II nella medesima classifica sulla libertà di stampa l’Italia oscillava tra il 41esimo ed il 46esimo posto. Proprio come al tempo del governo Meloni. Con una differenza: Rsf non ha mosso accuse contro la leader FdI mentre puntò il dito contro i grillini. Nel 2019 denunciò come «molti giornalisti sono stati apertamente criticati e insultati» da esponenti del M5s e nel 2020 ricordò le aggressioni fisiche ai danni dei cronisti mosse da «gruppi neofascisti e membri del M5s». La rimozione selettiva operata dal campione di piroette Conte, va da sé, riguarda anche queste due accuse.
Non solo rimozioni: con guizzo trasformista, ecco che il grillino ora si erge a difensore del cronista. «La figura del giornalista», riprendeva sui social, «è da anni sotto attacco fra querele temerarie, precarietà, stipendi da miseria per chi sgobba tutto il giorno in cerca di notizie sui territori». Poveri noi, insomma. Ma poveri solo oggi e solo perché fa comodo, a differenza del tempo in cui per Di Battista eravamo «puttane» e «pennivendoli». E se lo ricorda Conte quando Beppe Grillo scatenava linciaggi mediatici contro il «Giornalista del giorno», un collega da mettere alla berlina? Certo che ricorda, ma quando è necessario dimentica, omette. Tant’è, il leader pentastellato conclude: «La politica dovrebbe lavorare a una inversione a “U” e dare un segnale», «noi ci siamo». Mentre noi «pennivendoli» poco sentitamente ringraziamo, declinando la pelosa mano tesa di chi ha un pedigree come quello del signor Conte.