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Se l'ambientalista è di destra diventa subito un "ecofascista"

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Daniele Dell'Orco
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Detto così, il neologismo sarebbe anche interessante: ecofascisti. Uno di quei neologismi che la sinistra spesso inventa (rigorosamente con “fascismo” dentro) per bucare sui media e per introdurre nuove minacce ideologiche che provengono dalla destra e pertanto devono essere abbattute. Tuttavia, essendoci di mezzo la tutela dell’ambiente, tema spinoso, attualissimo e futuribile, la speranza era che questa nuova offensiva ideologico culturale molto in voga al Salone di Torino in eventi, conferenze e forme varie, ma pure in libreria con un volume edito da Einaudi (Ecofascisti Estrema destra e ambiente di Francesca Santini, pp. 120, 13 euro), potesse essere un serio rinnovamento della retorica della sinistra basata da anni sull’ormai stantìo “ritorno del Duce”. Purtroppo però, a ben guardare, anche questo ecofascismo si rivela ben presto la solita, noiosa solfa. Sarebbe un laboratorio nel quale il pensiero reazionario prova ad “aggiornarsi” rispetto al cambiamento climatico. Perché chiaramente, siccome il primato assoluto sul tutto deve detenerlo la sinistra, la destra non può essere altro che quella che arriva sui temi poco, tardi e male. «L’ecofascismo non è un movimento organizzato», scrive Santolini, «ma una modalità organizzativa del pensiero ecologista più reazionario». La sua straordinaria opera omnia di un centinaio di pagine in tascabile che detta la linea dell’antifascismo ambientale si apre con un compendio di matti, terroristi, deviati che hanno compiuto massacri in giro per il mondo il nome, dice, della difesa dell’ambiente in chiave anti-migranti.

SUPREMATISTA
Il suprematista bianco che uccise cinquantuno persone in una moschea a Christchurch, in Nuova Zelanda, quello che fece una strage in Texas con 23 morti per denunciare l’immigrazione, o quell’altro che aprì il fuoco 10 anni fa (dieci!) in un liceo della Finlandia. Tutti loro sarebbero dei depositari ideali non di disturbo mentale ma di volontà di salvaguardare l’ambiente inteso in senso xenofobo. In sostanza gli ecofascisti sarebbero colpevoli di volersi trincerare in un mondo che tutto sommato è vivibile, verde e pulito, respingendo coloro che cercano di sfuggire al deserto, alla fame e alla morte.
Ma nella categoria non rientrano solo i mostri stragisti, perché la magia della sinistra è sempre stata questa: prendere il peggio del peggio tra i profili antropologici e farlo corrispondere alla destra politica. Dagli omicidi di massa si fa allora un breve balzello difatti verso le realtà politiche della destra europea e statunitense. I trumpiani che confondono meteo e clima; il “Rassemblement National” francese e la sua costola verde chiamata “Nouvelle écologie” che propone una risposta patriottica al cambiamento climatico; il British National Party che rivendica il primato di “vero” partito green della Gran Bretagna e collega minaccia ecologica e immigrazione; gli svizzeri, i fiamminghi e gli onnipresenti cattivoni di Alternative für Deutschland tedeschi e Vox spagnoli. Tutto guarda caso ora che ci sono le elezioni europee e queste sigle sono in rampa di lancio.

 

La destra italiana paradossalmente viene snobbata poiché ignorante, retrograda e limitata («pensano che basti tenere tutto così com’è»). Ma per gli antifascisti ambientali il vero pericolo è rappresentato da chiunque esprima come concetto che l’ambientalismo sia il figlio naturale del patriottismo. Elemento peraltro cardine della tradizione politica di destra e antico quanto la destra stessa. Altro che negazionismo del clima e barriere anti-migranti. L’ambiente, in chiave identitaria e conservatrice, è la naturale proiezione della dimensione divina e di tutto ciò che ruota intorno al sacro: certamente anche le radici, certamente anche l’identità, certamente anche la patria e la famiglia.

LOTTA DI CLASSE
Nella categoria degli ecofascisti, semmai, dovrebbero essere ascritti i neo-marxisti che concepiscono l’ambiente in ottica sempre e solo materiale, come ennesimo strumento di lotta di classe, di tassazione dei potenti e di ritorno all’età della pietra. Ma anche quelli che l’ambientalismo vorrebbero davvero trasformarlo in un veicolo autoritario di esclusione sociale. Come? Trasformando le città italiane in paradisi green accessibili solo ai radical-chic col superattico in centro e che si spostano in bici o alla peggio in NCC. Oppure introducendo misure coercitive ispirate all’ecodittatura di Rudolf Bahro, dei Verdi tedeschi, che nella sua “Logica della Salvazione” teorizzava la necessità di un governo autoritario green «fino a quando gli individui non avranno il minimo proposito di porsi per convinzione propria all’altezza della sfida storica: assicurare la sussistenza della specie umana sulla Terra, per il quale scopo porre termine agli orientamenti economici e alle pratiche politiche “sterminatrici” oggi dominanti». Chissà come mai però nei volumetti deliranti scritti per attaccare la destra in ogni sua forma, di tutte queste nozioni, ben più attuali e ben più influenti, si faccia sempre finta di dimenticarsi.

 

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