Roberto Speranza senza vergogna: dopo aver fatto disastri critica Giorgia Meloni
Il volto torvo, la voce fioca, la predisposizione innata a confondersi con le mura prima del Pd, poi dell’entità rionale Articolo 1-Mdp, infine di nuovo del Pd, e senza che nessuno se ne accorga: Roberto Speranza è quel grigio che rassicura e sta bene su tutto.
Non è un caso che a quattro giorni dal voto i dem scelgano lui per ribadire i “tagli” della Meloni e i “miracoli” del Nazareno sulla Sanità. «Il nodo è quello delle risorse. Ogni riforma senza risorse, a quattro giorni dalle elezioni, è pura propaganda», afferma l’ex ministro della Salute al quotidiano Il Manifesto «la linea di questo governo (il governo Meloni, ndr) è chiara: la spesa sanitaria in rapporto al Pil scende e nel 2025 dovrebbe tornare ai livelli del 2007. Si è invertita la direzione: nel periodo in cui sono stato ministro, rivendico di aver portato la spesa sanitaria pro-capite da 2629 a 3255 dollari, e quella in rapporto al Pil fino al 7,4%, anche sbattendo i pugni sul tavolo. Con Meloni si torna sotto il 7% e l’anno prossimo ci si avvicina al 6%, che è considerata la soglia di tenuta».
Speranza fa una dichiarazione d’impeto, affascinante, centrale per la sua campagna elettorale. Ma di una spudoratezza che è forma d’arte. Eppure, nella sua cocciuta manipolazione della realtà lo Speranza resta sempre l’ultimo a morire. La verità sulla Sanità è un’altra.
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LA VOCE DEL “BERSANINO” - I tagli veri li ha fatti il nostro travet sanitario, ex discepolo di D’Alema e già sodale di Bersani (lo chiamavano “Il Bersanino”). Secondo la Fondazione Gimbe, infatti, tra sforbiciate e minori entrate, «il Servizio Sanitario Nazionale ha perso 37,5 miliardi di euro tra il 2010 e il 2019, cioè gli anni in cui si sono alternati governi del Pd, tecnici (Monti) e poi gli esecutivi Conte 1 e 2». I soldi sottratti al comparto sanitario sono serviti per finanziare provvedimenti spot dei governi della sinistra. Nel 2020, effettivamente, si registra un balzo della spesa sanitaria che arriva al 7,4% del Pil. Ma per una ragione banale e emergenziale: il crollo del Pil dell'8,9% per effetto della pandemia. L’aumento in termini percentuali non corrispondeva a crescite in valori assoluti dello stanziamento economico: quel 7,4% del 2020 si presenta quindi come un dato «drogato» dalla caduta del Pil. Ma Speranza, nel suo pallido discorso, questo omette di dirlo.
Un ulteriore focus. Tra il 2013 e il 2018, quando a Palazzo Chigi si sono alternati tre premier dem, Letta, Renzi e Gentiloni, c’è stato un taglio alla sanità pubblica pari a 28,1 miliardi di euro conseguenti alle manovre finanziarie e allo “stanziamento di minori risorse” rispetto alle programmate. A conferma del surrealismo dell’insieme, il Marco Furfaro, deputato fedelissimo della segretaria Elly Schlein che mesi fa ammetteva «in passato la sanità è stata definanziata dal centrosinistra, è stato un grande errore»; be’, oggiè lo stesso ad affermare, sul X, che durante il secondo governo Conte sostenuto da M5S e Pd, l’allora ministro della Salute Speranza aveva portato la spesa sanitaria a un valore pari al «7% del Pil» prima dell’inizio della pandemia di Covid-19. 7%, occhio. Ma il sito Pagella politica - non certo affettuoso verso Meloni - ha verificato.
Ed è una fesseria: «Speranza è diventato per la prima volta ministro della Salute a settembre 2019. La legge di Bilancio per il 2020, approvata prima della pandemia, ha stanziato nuove risorse per la sanità, ma non abbastanza da portare la spesa sanitaria al 7% del Pil».
D’altronde, la vulgata elettorale del governo Meloni che usa il bisturi sul corpaccione della Sanità, viaggia di comizio in comizio (anche se, per esempio, in un’intervista a Schlein a Piazzapulita su La7 ne esce ridimensionata, scontrandosi contro i veri numeri). Soltanto con l’ultima legge di bilancio sono stati messi sul Fondo sanitario 3 miliardi in più nel 2024, 4 miliardi nel 2025 e 4,2 miliardi sul 2026.
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In tutto 11,2 miliardi sul triennio 2024-2026. Oggi siamo a 134 miliardi annui, che saranno 136 miliardi nel 2026. Il Fondo sanitario ha raggiunto cifre mai viste prima (se non durante la parentesi del Covid). Certo, anche qui Speranza ignora il dato assoluto e parla di «spesa sanitaria in rapporto al Pil»; laddove il dato scende sì al 6,5-6.6%, ma a causa dell’erosione dell’inflazione non certo addebitabile a Meloni. E, comunque, non sono tagli alla Sanità. Altra verità: nel 2019, sul fondo sanitario, è stato investito poco più di 1 miliardo. L’ultima legge di bilancio del precedente governo (2022), ha aumentato il fondo sanitario di 2 miliardi l’anno per il triennio 2022-2024 (6 miliardi sul triennio). Quasi la metà di quanto investito dal governo Meloni. Per dire.
Quindi - per ribadire il concetto - i “tagli” sono precedenti a Meloni, con lo Speranza regnante al dicastero, appunto.
SISTEMA UNIVERSALISTICO - All’epoca non si ricordano barricate, le grida d’allarme sul servizio sanitario in fin di vita, le proposte di legge rivoluzionarie. Il Pd, oggi, propone: snellimento delle liste d’attesa, Cup unico e abolizione del tetto delle assunzioni. Bene. Esattamente le misure che, proprio in queste ore, sono in parte in approvazione o discusse da parte del governo Meloni.
Poi si potrebbe fare un discorso sulla vera privatizzazione del servizio sanitario: l’introduzione dei medici “gettonisti” a cui Speranza ha dato potente impulso.
E si potrebbe constatare che, da quando è in vigore il sistema sanitario universalistico - finanziato con tassazione generale e gratuito per tutti citatdini al punto di cura - l’Italia non è mai arrivata al 7% tranne sempre in emergenza Covid, ovvio. Toccare, come dice il Pd, il 7,5% in modo strutturale, da noi, significherebbe contribuire all’implosione del bilancio dello Stato stesso. Sicché, quando Speranza afferma che «una riforma senza risorse è propaganda elettorale», ha perfettamente ragione. La sua propaganda elettorale.
Che è inarrivabile quanto la sua capacità di adattarsi a ogni ambiente...