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Stefano Bonaccini, quando nel 2017 su "Libero" invocava l'Autonomia

Pietro Senaldi
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«Il tempo cambia molte cose nella vita: il senso, le amicizie, le opinioni...» cantava Franco Battiato. Io ho sempre apprezzato Stefano Bonaccini, fin da quando lo incontrai la prima volta, nell’estate 2017, per fargli l’intervista che pubblichiamo in questa pagina, e non ho cambiato opinione; mi dispiace, dicendolo, di fargli forse danno. Lo consideravo un amministratore capace e per questo non mi ero stupito quando mi confidò di essere «per un federalismo a perimetro variabile che porti più autonomia alle Regioni che hanno dimostrato capacità e le favorisca nel ruolo di locomotiva dell’intero Paese», visto che con il loro sviluppo possono tirarsi dietro le altre.

Qualcosa però nel governatore dell’Emilia-Romagna, o quantomeno intorno a lui, dev’essere cambiato, e parecchio, in questi sette anni, visto che ieri, in un’intervista a Repubblica, ha detto che l’Autonomia non gli piace più. «Ne volevo un’altra», si contorce, «quella approvata dal governo è selvaggia, divide scuola e sanità; se non fossi stato appena eletto in Europa, la impugnerei». Insomma, Bonaccini accusa l’Autonomia di essere mutata, quando invece nel profondo forse non è mutato neppure lui. Il presidente emiliano deve semplicemente rispettare le consegne imposte a tutto il Pd da Elly Schlein, che lo ha battuto nella corsa alla segreteria. La leader dem vuol fare della battaglia contro il federalismo l’arma che unisce tutta la sinistra contro il governo, essendo il campo largo incapace di ritrovarsi in una proposta, oltre la logica della trincea. Bonaccini deve adeguarsi al contrordine compagni. «Come si cambia, per ricominciare...», e siamo arrivati a Fiorella Mannoia. «Come si cambia, per non morire...».

 

Sette anni fa il governatore ricordava che «storicamente è stata la sinistra in Italia a porre la questione delle autonomie locali, specie nella mia terra, dove governa da oltre quarant’anni». Oggi, per giustificare la giravolta, dice anche qualche inesattezza, tanto i tempi sono cambiati e a sinistra nessuno sa cos’è l’autonomia ma tutti hanno metabolizzato che va contestata a prescindere e a ogni costo, anche a quello di apparire delle banderuole. Bonaccini sostiene che la legge non gli piace perché arriva prima dell’individuazione da parte della Camere dei Lep, i livelli essenziali di prestazione che lo Stato deve garantire a tutte le Regioni. I Lep però, nel progetto di otto anni fa, neppure c’erano.

Come non era previsto il doppio passaggio in Parlamento dell’accordo tra governo e Regioni sulle materie oggetto di delega e sui loro limiti. Paolo Bressa, il sottosegretario dem alla Presidenza del Consiglio con il quale Bonaccini, Maroni e Zaia avevano trattato, aveva previsto procedure più rapide per l’autonomia rispetto a quelle previste oggi dal ministro Calderoli, contrariamente a quanto afferma il governatore dem, secondo il quale l’attuale norma non assicura «il coinvolgimento del Parlamento». Bonaccini ci piaceva, perché diceva anche e che «con gli immigrati il ministro Minniti agisce bene e noi non possiamo accogliere tutti» e sentenziava che «chi occupa gli immobili va sgomberato, per rispetto di chi paga l’affitto». E ci piace ancora, perché siamo convinti che sono cambiate le sue parole ma non il suo pragmatismo. Lo stesso che in questo momento lo fa parlare come la Schlein, aspettando che passi nottata.

 

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