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Sinistra in missione all'estero per tifare contro la patria

 Elly Schlein

Francesco Specchia
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In fondo, che cos’è la Patria? «La Patria non è un’opinione. O una bandiera e basta. La Patria è un vincolo fatto di molti vincoli che stanno nella nostra carne e nella nostra anima, nella nostra memoria genetica», osservava Oriana Fallaci, quando, da sinistra, sventolare il tricolore – anche solo quando giocava la Nazionale - significava essere fascisti dentro.

Il concetto di Patria è «sacro dovere del cittadino» (art.52 della Costituzione). Possiede una sua dimensione animistica; ti fa abbracciare, con senso d’appartenenza, tutto ciò l’Italia rappresenta. Anche se ciò che rappresenta può non piacerti. Capisco possa sembrare un concetto polveroso, ottocentesco. Però, la domanda è: cosa c’è di patriottico nel Pd che a Bruxelles dichiara l’ostracismo assoluto e vieta qualsiasi tipo di rapporto con l’Ecr di Giorgia Meloni («per noi è un no, non si può fare nessuna alleanza con loro» dichiara Elly Schlein), ossia col suo Presidente del Consiglio?

Cosa c’è di patriottico in Antonio Scurati che riceve l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere e dalla Francia ne approfitta per dissociarsi dall’autocrazia un po’ littoria in corso in Italia? Cosa c’è di patriottico nella lettera che 40 intellettuali su 100 indirizzano alla Buchmesse di Francoforte denunciando «una volontà esplicita di ingerenza sempre più soffocante della politica negli spazi della cultura. E tale ingerenza si esplica non solo nell’occupazione sistematica di ogni ruolo decisionale nella cultura secondo criteri di fedeltà politica»?

 

 

Cosa c’è di patriottico nei raptus editoriali di Repubblica che ieri si è superata nella rappresentazione demologica di Palazzo Chigi? Insomma, il titolo di prima pagina «Meloni ci allontana dall’Europa», Stefano Cappellini che tratteggia Meloni e Le Pen come «vincenti di insuccesso e prigioniere del ghetto», Carlo Bonini che sancisce che «l’Italia peggiore» sia quella della Meloni; be’, sfornati tutti in una volta, rappresentano un triplete quasi –oserei- ammirevole. Ma non basta. Prima ci sono stati Donatella De Cesare e Luciano Canfora con i loro riferimenti storico- filologici al «nazismo» di governo. E prima il frontman dei Placebo Brian Molko, in un sequela di insulti diretti a Palazzo Chigi, insisteva sul concetto di Gestapo. E, prima ancora Giovanni Gozzini, Giorgio van Straten, Raffaele Palumbo e molti altri docenti e uomini di cultura si sono spesi verso la premier nel vilipendio più disparato, «ortolana» o «pesciaiola», «vacca» o «scrofa», roba che ha fatto irretire perfino la cronista dell’Espresso Susanna Turco, autrice tra l’altro di una biografia di Meloni. Siamo continuamente dalla parti della diffamazione, della percossa ideologica del vilipendio a un corpo della Repubblica. Siamo, insomma, a un reiterato, ossessivo, attacco al senso della patria.

Specie all’estero, nella aule universitarie, nei consessi internazionali, nei luoghi dove si possa mescolare impunemente l’odio per la Meloni con quello per Israele, il disprezzo per l’Ucraina con l’elettorato di destra, l’Italia di Mameli col Cile di Pinochet.

 

 

Sicché, torniamo a bomba. Dove sta, allora, il senso della patria dell’opposizione? Nel tricolore sventolato ipocritamente davanti a Calderoli durante la discussione sull’Autonomia, dagli stessi che, per anni, quel tricolore consideravano un gadget terribile e nerissimo, alla stregua dell’olio di ricino e del cerchio di fuoco? La bandiera brandita ad arte contro il governo più patriottico di sempre è quanto di più antipatriottico possa esistere in natura.

Scriveva con onestà intellettuale Fabrizio Rondolino noto ex sherpa dalemiano: «Negli anni 70, quando tutti si pensava alla rivoluzione, si aprì un dibattito surreale sul destino del Tricolore. I gruppettari sostenevano che bisognasse aggiungervi, all’indomani della vittoria, una bella stella rossa al centro, dove campeggiava lo stemma di casa Savoia; quelli della Fgci, invece, ritenevano che le tradizioni nazionali andassero rispettate, e che il Tricolore dovesse rimanere così com’era. In quegli stessi anni, sempre a sinistra, si adduceva il massiccio sventolio di tricolori ai comizi di Craxi come prova inequivocabile della deriva a destra del Psi». E la memoria del vecchio Rondolo non inganna. Il tricolore, da quelle parti, ha sempre e soltanto connotato un’identità sbagliata. La patria, a sinistra, ha rappresentato l’ingannevole destino dei popoli.

Ma il patriottismo è patente di democrazia, come l’antifascismo. Bisognerebbe stringersi alle istituzioni democraticamente elette; e dimostrare di poter difendere a tutti i costi la Nazione, farne restare in piedi la cultura e le istituzioni. Certo, se uno contesta il concetto di «nazione», parte già maluccio. Su Dio e famiglia potremmo anche discutere, ma la Patria resta il muro invalicabile... 

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