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Giuseppe Conte scarica Matteo Renzi per fermare la rivolta grillina

Annarita Digiorgio
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Il giorno in cui Beppe Grillo arriva a Roma, senza incontrare Giuseppe Conte, l’ex premier 5 Stelle organizza sui suoi canali social una intervista con Fanpage. Innanzitutto Conte ci tiene a marcare la linea del campo largo, ribadendo che Renzi non deve farne parte: «La questione su Renzi non è mia personale, è il mio movimento che me lo chiede, e non solo il mio: anche dalla comunità del Pd e di Avs non sono contenti».

Secondo Conte c’è una intera comunità che non ritiene Renzi affidabile per quello che ha fatto nel corso degli anni «per i soldi che ha preso dagli arabi, perla spregiudicatezza, perché utilizza le istituzioni per convenienze economiche. Come può qualcuno chiederci di sederci al tavolo con Renzi? - dice Conte - Quanto porta Renzi? 1 o 2 per cento? Ma leverebbe cinque volte tanto». «Se noi vogliamo mandare a casa Meloni - aggiunge il leader grillino dobbiamo creare un progetto credibile ed è poco credibile farlo con chi ha fatto il Jobs Act o non vuole il salario minimo. Renzi ha votato spesso con il governo Meloni e ora, dopo una disfatta alle europee, vuole essere protagonista di questo progetto».

 

 

 

Da Italia Viva gli risponde Ivan Scalfarotto: «L’uomo che ha presieduto senza battere ciglio due governi di opposto orientamento parla di coerenza? L’uomo che ha firmato i decreti Salvini parla di coerenza? L’uomo che ha fatto gli accordi con Lollobrigida sulla Rai parla di coerenza? L’uomo che ha fatto votare Bonafede dal centrodestra parla di coerenza?». I motivi di rottura nel campo largo non si fermano a Renzi, facendosi ancora più evidenti parlando di politica estera. Giuseppe Conte non vuole saperne di dissociarsi da Trump: «Se Trump vince la democrazia Usa è in pericolo? Io non credo- spiega l’ex premier- io critico certa sinistra che dice che se vince Meloni non c’è più democrazia in Italia. Dire che se non vince la sinistra non c’è democrazia è un ragionamento che non accetto. Il governo che prende il voto degli elettori è legittimato a governare. E non accetto che si facciano test di progressismo sulla base di candidati di altri Paesi».

Le divergenze nel campo largo si allargano anche al medioriente: «Vogliamo esportare la democrazia occidentale, ma come possiamo stare zitti di fronte a 41mila morti, tra cui bambini e donne? Basta con le armi a Israele, il governo ci sta prendendo in giro». Posizione opposta a quella di Renzi, e buona parte del Pd. È netto Conte: «Su questo dobbiamo intenderci: altrimenti che significa area progressista? Sarebbe un progressismo a vanvera. Stop armi a Israele, riconoscimento della Palestina e sanzioni ai coloni. Poi, forme di intervento alla Corte Internazionale di Giustizia. E ritirare ambasciatore italiano a Tel Aviv». Mentre sul conflitto russo-ucraino Conte si dice d’accordo con il ministro Crosetto: «Se occupi il territorio russo sguarnendo il fronte del Donbass, la pace l’hai allontanata. Putin devi farlo sedere al tavolo».

Quanto al tumulto interno al movimento, Conte smentisce una scissione, ma mena forte su Grillo: «Il principio fondativo a me importa il giusto, a me importa che si recuperi l’entusiasmo e l’energia vitale di una comunità». E ancora: «Quella fase si è spenta nel corso degli anni, io mi sono ritrovato con un Movimento che aveva solo la piattaforma Rousseau come momento di discussione. Oggi però la politica richiede discussione a livello locale con una comunità, ma guardandosi negli occhi, non si può relegarla solo a una dimensione virtuale». 

 

 

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